20 Aprile 2025, Pasqua di Resurrezione
Prima Lettura Dagli Atti degli Apostoli At 10, 34. 37-43
Salmo 117
Seconda Lettura Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Colossesi Col 3, 1-4
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20, 1 – 9
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Queste parole che ascolteremo nell’annuncio del Vangelo di Luca enunciano una verità
che porremo al centro della nostra riflessione, sia nell’ascolto che nel commento alla
parola di Dio. La nostra fede tradizionale non riesce a vivere la Pasqua se non sulla
scadenza del calendario, ma questa parola, la parola della resurrezione, non fa presa che
eccezionalmente sull’esperienza di tutti i giorni, sul nostro modo di rappresentarci il
futuro personale e il futuro dell’umanità. Riprendere contatto con l’annuncio pasquale
significa riscoprire nella sua profondità il senso della nostra presenza in questo mondo e
della nostra solidarietà con tutte le creature che aspirano alla vita e alla liberazione dalla
morte. Non è forse questa l’aspirazione, la spinta che muove non dico solo gli esseri
umani ma tutte le cose verso un approdo di liberazione che secondo la nostra ragione e la
nostra esperienza è un approdo impossibile? Per poter entrare in pieno nella verità di
questo annuncio occorre consegnare la nostra coscienza alla profezia evangelica in tutta
la sua ampiezza, cosa che noi non facciamo. Abbiamo ridotto la Pasqua ad un evento
liturgico, ad una circostanza di incremento del consumo ma questa parola non ha
risonanze profonde, generalmente parlando, nelle coscienze. Ecco perché noi abbiamo
tentato, nella nostra esigenza di restituire la verità concreta alle parole che ci ripetiamo da
anni, da secoli, da millenni, di collegarle alle concrete aspirazioni dell’umanità che è sotto
i nostri occhi, non l’umanità in astratto. E come l’anno scorso fu la tragica esperienza della
guerra a risuonare dentro le nostre liturgie della settimana santa, così quest’anno abbiamo
collocato al centro della nostra riflessione, sicuri di cogliere un segno provocatorio da
parte di Dio, il richiamo dei cinquecento anni dalla conquista dell’America; un grande
crimine che noi abbiamo commesso con tutte le memorie pasquali nella mente, un
crimine contro i poveri della terra, innocenti, che sono stati massacrati da noi. Ecco
perché abbiamo inserito nella liturgia pasquale — giovedì, venerdì, sabato santo ed oggi
— questo riferimento: per togliere alla liturgia la sua sicurezza dentro le crisalidi del rito
e per far sprigionare la potenza liberatrice della parola del Signore. Ascolteremo ora
l’annuncio della parola di Dio e ci rifletteremo sopra. C’è fra di noi, come
ospite che ci ha seguito in questa liturgia, un rappresentante delle nazioni indie. Dopo le
mie parole ci dirà un saluto. e così daremo un sigillo di autenticità, per quanto possibile, a
questo rito pasquale. Anno dopo anno rileggiamo la stessa narrazione dell’evento centrale
della fede ma abbiamo sempre l’impressione di rimanere come esterni a quell’evento così
umanamente incredibile, vorrei dire, in qualche modo, così sospetto perché non può
essere oggetto di nessuna dimostrazione. Soprattutto quando si tratta di questioni che
danno senso ultimo al nostro destino, noi avremmo bisogno di dimostrazioni. Questo
però è un evento di fede, non nel senso che non sia un evento oggettivo, misteriosamente
accaduto, ma perché è un evento — come narrano con molta sincerità e verità i Vangeli
— che si manifesta a coloro che Dio ha prescelto. E un evento che trascende le nostre
rappresentazioni empiriche dove si muove la ragione quando si muove con onestà. Oltre
quel confine noi nulla vediamo. Che il senso del nostro esistere nel tempo sia quello
della resurrezione è questione che non possiamo dimostrare, possiamo soltanto affidarci a
ciò che ci è stato testimoniato: Gesù di Nazareth è stato liberato da morte non per un
destino personale, ma come primogenito di una nuova creazione che ci riguarda tutti. E
questione fondamentale perché se quell’evento è accaduto, ed è accaduto con questa
proiezione alla totalità dell’universo, il senso del vivere è nuovo, altrimenti siamo nel
sepolcro della morte, con tutte le nostre favole, e quando il tempo sarà finito il nulla
riprenderà il suo impero assoluto. Nel nostro intimo siamo sempre al bivio tra la vita
come il senso del tutto e la morte come il senso del tutto. Ma per poter uscire da questo
bivio ci è stata indicata una via da cui rifuggiamo. Che voglio dire? Noi siamo portati ad
isolare il fatto nel suo momento taumaturgico, miracoloso il miracolo, in qualche modo,
sempre ci affascina o ci turba —, ma non abbiamo accettato in pieno la contestualità di
quel fatto; quella contestualità che Pietro, con crudo linguaggio, usò nel primo annuncio:
«Quel resuscitato è un delinquente appeso ad un legno». E un condannato con concordia
dei due poteri: il religioso e il politico. Il suo crimine era di aver liberato gli oppressi dal
potere del diavolo, che nel linguaggio mitico vuol dire dal potere oppressivo: le malattie,
la fame, l’emarginazione. Egli aveva osato dire parole di esaltazione proprio per gli
esclusi. Ha detto: beati gli uomini pacifici, beati i perseguitati, beati i poveri…
Da “Il Tempo di Dio”, ultime omelie 1992