25 Maggio 2025, VI Domenica del tempo di Pasqua

25 Maggio 2025, VI Domenica del tempo di Pasqua

Prima Lettura – Dagli Atti degli Apostoli At 15. 1-2. 22-29
Salmo 66
Seconda Lettura – Dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni apostolo Ap 21. 10-14. 22-
23

Vangelo – Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 14,23-29

 


Possiamo partire dalla grande immagine apocalittica della seconda lettura, per dischiuderla un attimo — liberandoci dai simboli — e per discendere poi a prendere in considerazione sia la promessa del Signore — la pace, che non è quella del mondo — sia la narrazione dei conflitti all’interno della Chiesa primitiva. Ne potremo trarre luce per orientarci in tempi difficili come questi.

Innanzi tutto — lo abbiamo detto tante volte — è importante che la fede del cristiano, liberandosi dai condizionamenti interni ed esterni, metta a fuoco il suo vero approdo: l’unificazione dell’umanità (le quattro pareti con tre porte ciascuna sono, nel linguaggio simbolico, indice di universalità), che avviene con la fine di tutte le segregazioni sacre. Non ci sarà alcun tempio, in questa Città. E non ci sarà nessuna mediazione: la luce verrà dal suo interno. Non ci sarà più bisogno né di sole né di luna. Ricomposta totalmente in se stessa e nella comunione con Dio, l’umanità avrà finalmente una libertà compiuta: anche quella libertà che, senza accorgercene, perdiamo inevitabilmente ogni qual volta accettiamo la distinzione tra gli spazi sacri e gli spazi profani, la distinzione tra le caste sacre e il mondo, e così via.

Queste distinzioni hanno la loro ragione storica, di cui dirò subito, ma noi dobbiamo contestarle in vista di un loro superamento, abolendo il dualismo in cui siamo stati allevati, tra la città di Dio e la città dell’uomo, tra il regno eterno e il regno temporale. Impegnati, per coerenza con la nostra fede, ad anticipare nel tempo, nelle misure possibili e quindi con tensione perpetua, quella che sarà la condizione ultima, dobbiamo relativizzare con coraggio e discernimento tutto ciò che appartiene al provvisorio. La fede cristiana ha, come suo centro, l’universo intero: non la Chiesa, non i sacramenti, non le verità dogmatiche. Tutto questo appartiene al provvisorio e al mutevole. Una fede centrata sull’universo porta con sé il bisogno profondo di abolire tutte le barriere di divisione. L’ostacolo diretto al trionfo della fede è ciò che divide l’uomo dall’uomo, l’uomo dalla natura e l’uomo da Dio.

Aver fede significa diventare impazienti nell’abolire queste barriere di divisione, che cambiano nome, forme, vesti, ma sono pur sempre il sintomo e la causa di un’unità che non ha realizzato se stessa, che si ripiega su di sé e vive secondo la spinta negativa della propria natura decaduta. E qui vengo al discorso sulla pace, che è un discorso chiave sempre, ma oggi in particolar modo.

Quando Gesù dice che la Sua pace non è quella che dà il mondo, non fa — come noi spesso facciamo — una distinzione, accettata la quale le Sue parole diventano assolutamente inutili, al più consolatorie. Non vuol dire che la Sua pace è una cosa e la pace del tempo e del mondo è un’altra, che bisogna rassegnarsi a vivere la pace nel segreto delle coscienze, nei momenti fulgidi della liturgia, nelle aspirazioni nobili della preghiera, accettando però come un dato immodificabile che l’uomo sia in guerra contro l’uomo. Se Gesù avesse fatto questa discriminazione, avrebbe rigettato la creazione del Padre dentro le leggi della disgregazione e dell’odio, dentro il principio di Satana.

Agli occhi di Gesù la creazione intera non è la natura su cui si sovrappone un’altra realtà che è la città celeste: è essa stessa, la creazione, la città del Padre. Tutta la creazione aspira, alle condizioni descritte dal profeta, a quella perfetta compattezza interna, a quella perfetta misura, a quella perfetta gioia, a quella libertà da ogni dipendenza esterna, a quell’autonomia totale, pur nella profonda immanenza nella gloria di Dio. Le distinzioni non ci sono, in Gesù.

Quando Egli parlava, il mondo — il mondo cosiddetto civile — si rallegrava della Pax romana: l’Ara Pacis è un monumento che ci ricorda gli anni grandi della pace di Augusto. Che però era «la pace del mondo»! Dalla Pax romana alla Pax americana, alla Pax sovietica, le cose non sono mutate. Di che pace si tratta? Di una pace imposta con la forza e saldamente subordinata a una logica di egemonia e di dominio; una pace che sa di sangue, e che infatti si tiene su proprio attraverso il cemento del sangue.

Questa è la pace del mondo.

Da “Il Vangelo della Pace”, vol. 3, anno C.

/ la_parola