27 Aprile 2025, 2° Domenica tempo di Pasqua
Prima Lettura Dagli Atti degli Apostoli At 5. 12-16
Salmo 117
Seconda Lettura Dalla libro dell’Apocalisse di San Giovanni apostolo Ap 1, 9-11.12-
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20, 19 – 31
—-
Fermiamoci un attimo su questa comunità che si sta formando, sotto la luce
dell’apparizione del Risorto, a ridosso del tempio di Gerusalemme che sarà
distrutto. Attorno agli apostoli si riuniva un popolo. Era proprio un popolo, perché
«altri — e ci è facile capire chi fossero — non osavano associarsi a loro»: la paura
li teneva lontani. Ma il popolo li esaltava. E una prima discriminazione che la
memoria della resurrezione introduce nel tessuto della società d’Israele. C’è un’altra
forma di aggregazione, quella del numero straordinario di malati che venivano da
parte, attorno agli Apostoli, nell’attesa che solo l’ombra di Pietro, quando passava,
coprisse il loro lettuccio. Questa folla che viene da lontano per portare i malati e i
tormentati da spiriti immondi, è la rappresentanza di coloro che dalla resurrezione
di Gesù attendono la salvezza. E dunque una comunità singolare, questa, che da una
parte si trova sotto la minaccia del potere che aveva già crocifisso Gesù, dall’altra si
trova investita da questa simpatia del popolo, da questa speranza degli oppressi. E
dunque una comunità di liberazione, una comunità di salvezza, nel senso
totale della parola. Ma su quali motivi questa comunità reggeva la propria gioia,
la propria pace? Da quale sicurezza veniva l’irradiazione, che la rendeva così
affascinante per il popolo, così desiderata dai malati e dagli oppressi? C’era in lei
una memoria, una memoria ancora vivissima, la memoria della resurrezione. E
quando i primi cristiani ripensavano alla resurrezione, se non ne erano stati
testimoni diretti — come gli Apostoli — si basavano sull’insegnamento, su ciò che
gli apostoli narravano. Il brano che abbiamo ascoltato, è appunto una di queste
prime narrazioni dell’apparizione del risorto. Dobbiamo fermarci su questa
narrazione, per trarne alcuni elementi che costituiscono come la struttura portante,
perenne, della fede cristiana.
Il Gesù che appare, è il Gesù che porta i segni delle piaghe. E un tratto importante,
non solo perché — come forse nella prima intenzione del redattore di questo brano
— questo dimostra che il risorto è lo stesso Gesù della crocifissione, è il Gesù della
Croce. C’è una identità fra il Gesù la cui storia si è chiusa con l’agonia della Croce,
e il Gesù della resurrezione che è il Signore, il Cristo, il Messia: Gesù, il Crocifisso,
è il Cristo, cioè il Signore che adempie le promesse fatte dal Padre. In quelle
piaghe, c’è condensata una ricchezza di messaggio che merita ricordare. Anche se
fasciate dalla luce del trionfo della resurrezione, esse sono un grido aperto, il cui
senso è duplice. Quelle piaghe sono ancora a gridare contro coloro che le hanno
aperte. Non sono soltanto dati esteriori che suscitano pietà, compassione e
devozione: sono esse stesse un messaggio, sono un grido contro il sinedrio che le ha
dischiuse, contro Pilato che si è associato alle trame lei nemici di Gesù: è il potere
— diremo — che è simboleggiato da quelle piaghe. Quando noi crediano nel
risorto, non possiamo eliminare la densità oscura della realtà della Crocifissione.
Non a caso, perché è questo il nucleo del messaggio cristiano. Ma forse non molto
adeguatamente ricordiamo che chi crede nel Cristo risorto, non può non farsi carico
della protesta — che è di Dio — contro coloro che hanno ucciso il Giusto. Ecco
perché i potenti non osavano associarsi agli Apostoli: perché quelle piaghe
scavavano il solco tra i responsabili della Crocifissione e gli umili che, in qualche
modo, vivono una condizione di crocifissione permanente, quasi istituzionale.
Da “Il Vangelo della Pace” vol 3, anno C