29 Giugno 2025, 13° Domenica T.O.

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Prima Lettura Dagli atti degli apostoli At 12. 1-11
Salmo 33
Seconda Lettura Dalla seconda lettera di San Paolo a Timoteo 2Tm 4,6-8.17.18

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 16, 13-19

Domenica scorsa abbiamo avuto modo di verificare come il precetto evangelico di prendere su di sé la propria croce ogni giorno e seguire Gesù sia stato letto, nella cultura che ci ha formati, in una chiave così spirituale, così intimistica e così ascetica da aver perso il suo significato autentico. Si è detto, anche sulla base di testimonianze contemporanee, come «prendere la croce» significa scegliere una via che porta direttamente a far fronte, in modo coerente e coraggioso, ai poteri di questo mondo, entrando così nella inevitabile esperienza della persecuzione. La croce quindi non è l’emblema di un’ascetica individuale, è il simbolo di una scelta storica, di un progetto di vita che investe tutte le attese del mondo, traccia davvero un’alternativa radicale alle ingiustizie di questo mondo.

Sulla linea di sviluppo di questo tema, oggi siamo invitati a riflettere su un aspetto di questo progetto: la libertà. Per introdurci nel tema in modo corretto, dobbiamo riconoscere che per quanto riguarda la libertà noi siamo per lo più vittime di una menzogna che, per essere largamente condivisa, sancita nei codici, esposta nei libri della cultura vigente, sembra il contrario di una menzogna.

Noi siamo convinti di avere conquistato delle libertà importanti; guardiamo dall’alto in basso, con atteggiamento di sussiego o, peggio, di antagonismo quasi razzistico, tutti i popoli che non hanno raggiunto i nostri livelli di libertà. Con questo giudizio soddisfatto sulle libertà raggiunte, guardiamo al passato come se fosse una pura storia di tenebre e di schiavitù. È questa la menzogna sottile di cui siamo quasi sempre schiavi. Io penso, e del resto l’esperienza tutti i giorni ci guida in questa constatazione, che ben presto saremo costretti ad accorgerci che le nostre libertà sono ben fragili fino a che non saranno la condivisione della libertà di tutti gli uomini.

Se io sono libero di fare certe cose è perché altri non sono liberi; se io sono libero di scegliere le occupazioni che voglio è perché altri non hanno nemmeno la possibilità di avere un’occupazione; se io sono libero di muovermi, di viaggiare senza controlli, è perché miliardi di altri uomini non hanno nessuna possibilità di viaggiare. La nostra libertà, quella libertà che si esprime nel comportamento pubblico ed esterno, è ritagliata dentro un contesto di schiavitù altrui che non è puramente contiguo, ma è causale. Cioè c’è questa libertà perché c’è quella schiavitù.

Facciamo anche confronti orgogliosi tra la nostra libertà dell’Occidente e la schiavitù dell’Est dell’Europa. Ma se poi andiamo a vedere sul serio, senza scomodare princìpi metafisici o profezie evangeliche, la sostanza quotidiana di questa libertà di cui andiamo fieri, vediamo che essa potrebbe chiamarsi benissimo anche schiavitù.

Da “Il Vangelo della Pace” vol. 3, anno C

/ la_parola