4 Maggio 2025, III Domenica del tempo di Pasqua
Prima Lettura – Dagli Atti degli Apostoli At 5. 27-32, 40-41
Salmo 29
Seconda Lettura – Dal libro dell’Apocalisse di San Giovanni apostolo Ap 5, 11-14
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 21, 1 – 14
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C’è una profonda logica che unisce questi brani, è una logica a cui tante volte ritorniamo. Essa esprime quella Sapienza di Dio che sconfigge la sapienza dell’uomo e con la quale non possiamo far altro che confrontarci continuamente. Per meglio vederne le articolazioni e il punto d’innesto con la nostra realtà vissuta, disponiamo un momento i messaggi che abbiamo ascoltato secondo un ordine che è poi l’ordine stesso della storia della salvezza.
Il primo momento è quello degli Atti: «Il Dio dei nostri padri ha resuscitato Gesù che voi avevate ucciso appendendolo alla croce». La croce appare qui come il crinale da cui si partono due versanti. Uno è quello della sapienza di questo mondo, dei tutori dell’ordine di questo mondo che, essendosi imbattuti nell’Uomo Giusto, per essere coerenti con se stessi non hanno potuto che crocifiggerlo. In quel versante, la crocifissione del Giusto è un’assoluta necessità, perché se essi avessero tollerato quell’Uomo, tutto il loro ordine sarebbe caduto. Da quel crinale si parte un altro versante, che è invece quello dell’amore che offre se stesso per la liberazione degli uomini. Chi entra in quel versante ha, come suo probabile sbocco, la morte, l’uccisione, la persecuzione. Non ci sono possibilità di conciliazione: è qui che appare, in modo concreto e in dimensioni storiche universali, il senso di quelle parole con cui Gesù definì se stesso: «Io sono il segno di contraddizione». Egli è il segno di contraddizione. Rimane tale.
Il secondo momento, in questo tessuto concreto in cui traspare la logica della Sapienza di Dio, è quello del dialogo tra Gesù e Pietro. Il dialogo va colto nella sua interezza, senza sciogliere quel nodo essenziale da cui dipende l’intero suo significato. Alla domanda di Gesù, Pietro risponde: «Tu sai che ti amo». Ma l’occhio di Gesù va oltre. Le parole «ti amo» sono parole — lo sappiamo bene — infinitamente ripetute, il cui senso può essere quello labile, vacuo, provvisorio del sentimento. Gesù guardava ed era compiaciuto dell’amore di Pietro perché comprendeva di quale morte sarebbe morto: anche lui sarebbe stato condannato come il Maestro. Avrebbe dato anche lui la vita con amore. L’amore è la capacità di donarsi fino all’estremo sacrificio. La legge dei due versanti che ho rievocato s’innesta nel cuore di Pietro. È significativo al massimo che, nelle pagine evangeliche dove Gesù dà a Pietro l’investitura della responsabilità di garante, di servo dei fratelli, Pietro recalcitra, perché anche lui pensa come l’uomo. Ricorderete il brano contestuale alle parole del Signore: «Tu sei Pietro, su questa pietra edificherò la mia Chiesa», in cui Pietro, subito dopo, ragiona secondo gli uomini e vuole che il Maestro non affronti la prospettiva della Passione. E Gesù gli dice: «Va’ indietro, Satana!». Qui Pietro, purificato dalla sua esperienza della croce, pentito del suo tradimento («Io non conosco quest’uomo», aveva detto durante la Passione), è disponibile ad arrendersi totalmente alla Sapienza di Dio che in Gesù gli è stata manifestata, e va verso il suo destino, che è destino di morte.
Ecco perché non si può mai parlare, nella Chiesa, di potere, di dominio; e non si può mai — anche se di fatto (e questo è il mistero del male) avviene ed è avvenuto — utilizzare i concetti e i modi di esercizio della responsabilità propri dei poteri costituiti nelle società, per regolarsi all’interno della Chiesa. Il potere non esiste nella Chiesa: esiste l’amore. E là dove è solo parola, dichiarazione, atteggiamento, ma non è legato al nodo del servizio e del dono di sé, l’amore è finzione, è ipocrisia, è sterilità, anzi, è sorgente di male.
La verità del Vangelo — se noi lo meditiamo con attenzione — risulta da delicatissimi equilibri che ci impediscono di assumere una parte dimenticando l’altra: una parte divelta dal contesto diventa falsa. Quando si parla di potere dentro la Chiesa, si compie una falsificazione che porta alla subordinazione del senso del Vangelo alle ideologie di questo mondo, che sono le forme in cui il potere diventa idea, in cui il dominio si nasconde sotto la cultura. La logica della croce, in cui si incontrano le opposte sapienze, deve diventare legge della comunità cristiana e di coloro che, nella comunità cristiana, esercitano una responsabilità apostolica.
Il terzo momento è quello della prospettiva profetica sulla liturgia celeste: sul trono glorioso siede l’Agnello che è stato immolato. L’immolazione diventa ragione di dominio; il potere dell’Agnello, del Crocifisso, è un potere che ha come sua ragione l’immolazione che Egli ha affrontato col dono della vita. Il terzo momento è, nella prospettiva di fede, il Regno di Dio verso cui andiamo.
Ma c’è anche un quarto momento, che è il punto di articolazione del discorso di fede col concreto storico: è la reazione della società — qui rappresentata in modo autorevole dal sommo sacerdote — che perseguita coloro che sono fedeli alla logica che ho espresso; perché ciò che essi predicano e fanno contraddice all’ordine costituito, ed è intimamente inconciliabile con la legge su cui si basano i poteri di questo mondo.
Da “Il Vangelo della Pace”, vol. 3, anno C