08 Ottobre 2023 27° Domenica t.o.

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Prima Lettura Is 5, 1-7
Salmo Responsoriale (Sal. 79)
Seconda Lettura Fil 4, 6-9

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 21, 33-43

 

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Noi, dico noi cristiani d’occidente, anzi cristiani dell’Italia, abbiamo tutti i titoli
per considerarci eredi del ruolo storico che ebbe il popolo di Israele ai tempi di
Gesù. Abbiamo ereditato la fede dai nostri padri, abbiamo accumulato molte
glorie, nella nostra storia, abbiamo goduto, nel passato recente, del sentimento
di avere un primato nel mondo, di essere in qualche modo il popolo eletto
nell’umanità, abbiamo cercato di portare il nostro Dio in ogni angolo della
terra ed ecco che, in questi ultimi tempi, siamo colpiti dalla scoperta o dal
sospetto — dipende dalla vivacità della percezione di coscienza — che, in
verità, noi siamo proprio come i vignaiuoli della parabola. La nostra vigna, se
vogliamo usare l’arcaica immagine, è davvero come quella descritta da Isaia:
ormai i muri di cinta non ci sono più, ormai siamo assediati dagli esclusi che ci
minacciano e ci tolgono le condizioni materiali e anche quelle morali del
privilegio. Viviamo il momento della condanna: fra di noi c’è spargimento di
sangue, ci sono grida di oppressi. E il giudizio di Dio che scende su di noi e
rompe l’incantesimo di ieri.
Ci sono molti tanto scoraggiati che non trovano più plausibile continuare nelle
tradizioni dei padri. Essi hanno molti argomenti a loro favore, perché la
testimonianza che viene dal passato criticamente riletto è una controprova
della validità del messaggio cristiano. Le parole del Vangelo più sono lette e
più valgono come criterio di giudizio sul cristianesimo storico. Molti
denunciano, in chiare parole, senza timore, la responsabilità del passato e del
presente e guardano con pieni di fraterna simpatia a quei popoli che
probabilmente Dio sceglierà per sostituirci nella grande impresa della
creazione del suo Regno. Altri vivono in un sospetto ambiguo, che suggerisce
ora tentativi di restaurazione, di recupero delle certezze tranquille e superbe di
ieri; ora si aprono con timidezza alle nuove forme di coerenza col Vangelo.
Siamo però una cristianità provvidenzialmente, anche se dolorosamente,
lacerata. Guai se non lo fossimo; l’alternativa sarebbe probabilmente quella
della sicurezza di ieri, quando si guardava il mondo dal vertice di una
piramide e si scorreva con gli occhi la piramide dall’alto in basso, con
paternalistica carità e con la speranza che tutti accettassero il primato del
Papa, re dei re e dominatore dei dominatori, come diceva una liturgia
pontificale smessa appena venti anni fa. Ora siamo nella tribolazione. Chi
cerca di salvarsene con altri strumenti che non siano la riflessione sulla parola
di Dio non può che andare verso i tristi esiti della superbia resa violenta per la
sua astoricità, o verso lo smarrimento nella desolazione spirituale. La salvezza
unica è nel riconfrontarsi con pazienza con la Parola di Dio per trarne le
indicazioni necessarie.
Da “Il Vangelo della pace” vol.1 anno A

 

/ la_parola