1 Gennaio 2016- MARIA MADRE DI DIO – Anno C

1 Gennaio 2016- MARIA MADRE DI DIO – Anno C

1 Gennaio 2016- MARIA MADRE DI DIO – Anno C

 

Schiave sono ormai le intelligenze più alte dell'umanità, che tutte insieme volteggiano, come uno sciame, attorno a questa potenza mortale giustificandola, scongiurandone il carattere mostruoso con assicurazioni che essa non si scatenerà, incatenando dentro ragnatele di diplomazie la forza metallica che sta per ucciderci.

 

PRIMA LETTURA: Nm 6,22-27- SALMO: 66- SECONDA LETTURA: Gal 4,4-7- VANGELO: Lc 2,16-21

 

Nessuna benedizione è più adatta, ad illuminare questi nostri primi passi del nuovo anno. di quella che abbiamo ascoltato nella lettura di stamani: ce la ripetiamo, oltre che per trarne spunto di riflessione, per impetrare su di noi la luce del volto di Dio. «Ti benedica il Signore e ti protegga. il Signore faccia brillare il suo volto su di te e ti sia propizio. Il Signore rivolga su di te il suo volto e ti conceda pace». il nodo essenziale del messaggio odierno è proprio questa possibilità, che ci è stata concessa, di camminare nel tempo con l'esultanza e con la serenità e con la fiducia di figli. Paolo, nella lettera ai Galati. colloca l'evento di salvezza nel trapasso dalla condizione di schiavitù nei confronti della legge alla condizione della libertà dei figli. Sappiamo che nel suo linguaggio, come nel linguaggio di tutta la cultura giudaica, la legge era qualcosa di preciso, riguardava soprattutto la parte del Vecchio Testamento in cui la promessa di Dio era stata fissata in prescrizioni. Oggi possiamo, senza fare vera violenza a questa accezione tradizionale, intendere per legge tutto l'insieme dei processi deterministici che circondano la nostra vita, e a ben guardare, fanno di noi degli schiavi. il passaggio da un anno all'altro è proprio un momento privilegiato per prendere coscienza di questa schiavitù. Le feste, gli auguri, appartengono, secondo certe regole antropologiche, al tentativo di scongiurare, con la liturgia del rito, ciò che ci minaccia. Ogni rito ha un duplice aspetto: il primo è di celebrare una circostanza, l'altro è di scongiurare ciò che nella circostanza c'è di inafferrabile e di non controllabile. I nostri riti di fine anno sono un modo di gettare il nostro ordine, il nostro ritmo, la nostra volontà, su di un processo che invece ha una sua cieca, oscura onnipotenza. Il tempo ci fa schiavi. La legge di cui parlo ora è questa legge del tempo che afferra la nostra vita e la modella secondo la sua ineluttabile parabola di nascita, crescita e morte. È una legge di schiavitù dentro la quale è possibile, attraverso complicate vie di saggezza tranquillizzansi accettandola, considerandola del tutto normale. Ma di fatto la sproporzione tra i nostri ideali, i nostri amori, le nostre speranze e questo cerchio ineluttabile non è tollerabile. Non possiamo non sentirla come una schiavitù A questa antica schiavitù contro cui l'uomo, da poi che ha superato la sua condizione biologica in quella spirituale, ha sempre e in vari modi lottato, si aggiungono altre forme di legge che proprio in questi anni – mi pare – acquistano una acutezza, una problematicità che ieri non c'era. Noi viviamo in un momento in cui questo arco che chiude la nostra vita individuale e che ieri lasciava intatto il lungo corso della storia dell'umanità (della Storia: quando andavo a scuola si scriveva con la maiuscola) oggi chiude in sé anche la storia. Siamo mortali anche come specie e la legge che realizza questo destino di morte è la legge mortale della violenza Tutto è già, pronto, come in un rito.[…] Stiamo approntando il rogo per il sacrificio finale: la legna è pronta, manca il fiammifero. Ma è proprio una legge? Qualcuno dice che nell'uomo, per quanto si razionalizzi e si controlli, c'è, ineluttabile, la legge della violenza, dell'aggressività. Tutti coloro – e io sono nel numero – che sostengono che non è cosi, che nell'uomo c'è ben altro, fanno la figura di ingenui. La legge della violenza è una legge che ci fa schiavi. Questa volta non ho bisogno di mediazioni filosofiche per dire che siamo schiavi. Gli schiavi non sono più coloro che portano il giogo di chissà quale dittatura politica o economica. Schiave sono ormai le intelligenze più alte dell'umanità, che tutte insieme volteggiano, come uno sciame, attorno a questa potenza mortale giustificandola, scongiurandone il carattere mostruoso con assicurazioni che essa non si scatenerà, incatenando dentro ragnatele di diplomazie la forza metallica che sta per ucciderci. Non mancano intelligenze speculative che mostrano come questo è un punto di arrivo ineluttabile dell'eterna legge della specie che si basa sulla contraddizione e il conflitto. Personalmente, quando devo rivivere a modo mio il conflitto che viveva Paolo nella sua cultura giudaica, mi chiedo: ma è proprio vero che questa è la legge? Si può uscire da questa legge? Mi rispondo che se ne può uscire. Lo so che la parola immediata della fede persuade solo chi ha fede. Chi dice questa parola, «si può uscire», deve rendersi conto che non ha argomenti, che enuncia una certezza che non passa agli altri per via di costringente argomentazione, ma che tuttavia può svegliare in altri analoga possibilità di sperare. Quando dico che noi siamo passati dalla schiavitù alla figliolanza, io dico una parola di fede, però dietro questa parola di fede traspare qualcosa per tutti. La una fede non ha un suo spazio diverso da quello della condizione della creazione umana. Della mia fede fa parte la certezza che la creazione non è partorita dal caso, anche se scientificamente se ne possono cogliere le tappe secondo una linea di pura casualità Dentro la creazione, come un raggio dentro un cristallo, passa l'intenzione di Dio. Ed io riscontro questa intenzione nelle possibilità effettive dell'uomo. Nell'uomo c'è l'ansia di vivere nel mondo non come schiavo ma come figlio. La differenza tra lo schiavo e il figlio è che lo schiavo non è in grado di determinare da sé le proprie forme di esistenza, il figlio sì, perché è erede, cioè tutto passa nelle sue mani. Noi siamo, in questo nuovo anno, degli schiavi che contano i giorni che li separano dall'olocausto o siamo dei figli? Cioè liberi? Questa domanda è fondamentale e può essere formulata in mille modi. In piena legittimità io la formulo nel linguaggio di cui avverto, mentre lo parlo, le risonanze infinite nelle coscienze, dove si traduce in parole diverse, ma col medesimo senso di fondo. Circondato da innumerevoli catene, stretto dentro processi invincibili, all'uomo non resta altra dignità che quella di sapere che è schiavo a differenza dell'animale che è schiavo ma non lo sa, oppure c'è in lui la possibilità di superare questa condizione? La fiducia, infatti, in questa possibilità mi ritorna spesso sulle labbra, e non a caso, in questi ultimi mesi. E una fiducia che distingue coloro che hanno compreso una qualità che noi cristiani oggi proclamiamo in modo aperto, secondo il linguaggio che si riferisce agli eventi in cui crediamo: noi siamo in questo mondo non come schiavi ma come figli. Di questa condizione filiale fa parte il cammino verso il futuro avendo sul volto i riflessi di una luce.

 

Ernesto Balducci – "1l Vangelo della pace" – Solennità della Madre di Dio.(1983-84)

/ la_parola