10 Ottobre 2021 – 28^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

10 Ottobre 2021 – 28^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

10 Ottobre 2021 – 28^ DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – Anno B

 

La donna è ridotta ad una cosa posseduta, che non è certo una grande sapienza. Nelle leggi, anche in quelle della Bibbia, c'è condensata la cultura del tempo, esse non sono mai assolute se non sono ricondotte al principio generativo che le ha fatte essere. E cosi le nostre leggi morali sono relative.

 

 

PRIMA LETTURA: Sap 7, 7-11     SALMO: 89      SECONDA LETTURA Eb 4, 12-13

 

VANGELO: Mc 10, 17-30

 

 

 

 

 

… Da cosa dipende il fatto che io sia in grado di conoscere gli altri, di entrare nella lingua degli altri, anche delle cose? Qual è l'atto decisivo? E un atto che tocca l'intelligenza o è un atto che tocca il cuore, quel centro dell'essere che non è riducibile al capire? La risposta è questa: tutto decide la nostra scelta di vita. Se tu scegli di vivere facendo centro su di te hai voglia a studiare, hai voglia a diventare un luminare universitario; un premio Nobel: non capirai niente. Se tu scegli di mettere il centro di te fuori di te, di metterlo nelle creature, tu hai la sapienza, tu capirai quello che gli altri non capiscono. La decisione, dunque, è prerazionale, non nel senso che sia inferiore, nel senso che è più profonda, avvolge, come un perimetro, anche la nostra ragione. Ci sono intelligenze altissime ma viziate da un remoto egoismo. Mi viene a mente in questo momento, perché mi ha fatto rabbrividire, la risposta che dettero i grandi premi Nobel, nel luglio del 1945, quando erano intenti a fabbricare la bomba atomica a Los Alamos. Il presidente Truman fece loro la domanda: «Questa bomba che state facendo, secondo voi, la dobbiamo sganciare o no sul Giappone?»; uomini come Fermi dissero: «Si, perché cosi salviamo molte vite americane». Ecco dove i premi Nobel furono iniqui e criminali, perché posero al primo posto le vite americane. E noi che facciamo? Lo zelo con cui abbiamo difeso il diritto internazionale all'inizio dell'anno da che dipendeva? Dalla premura per le vite? Ed ecco allora la tristezza di Gesù: «Una cosa sola ti manca – disse Gesù al giovane -: "Va' vendi quello che hai, dallo ai poveri e seguimi". E il giovane se ne andò triste». Il giovane aveva detto bene, aveva risposto in modo che ci dà di lui un profilo nobile: «I comandamenti li ho sempre osservati». Dal puntò di vista morale il giovane aveva fatto tutto quello che doveva fare é Gesù aveva chiesto questo: «Osserva i comandamenti». Ma capendo che in lui c'era un desiderio ulteriore, quello della sapienza, gli disse: «Dai tutto quello che hai ed entrerai nel regno», che è come dire: entrerai in questa sapienza, in questo modo di vivere che ti farà stabilire rapporti viventi con tutte le creature. Essere nel regno è questo: è capire un fiore, una stella, un fiume, il negro che ci passa vicino. Capire nel senso non intellettualistico ma partecipativo. Il giovane non poté perché aveva l'ancora nell'avere, nel possesso. Allora Gesù diceva: «Come è difficile che un ricco entri nel regno». Qui per ricco si intende chiunque vive di ciò che ha. Uno ha ricchezza, uno ha cultura, uno ha moglie, uno ha figli, uno ha ed è lì il suo cuore e allora si chiude su di sé, non capisce altro. Può dilatare questa partecipazione fino ad abbracciare la nazione ma non va più in là. Questa rottura si ha nella abdicazione di questo baricentro che cade dentro di noi. Questa è la rottura che ci è chiesta dal Vangelo e ci è chiesta dalla nostra umana convivenza perché noi non entreremo in questa sapienza se non faremo cosi. Spesso mi domando come faremo a trovare un punto di comunione, un punto di appoggio per transitare dalla sfera centrata sull'io alla sfera dell'altro. Noi abbiamo dato molte risposte. Se tu vivi secondo la legge morale riesci. Non è vero niente, perché la legge morale che cos'è? Guardiamola con gli occhi di Gesù. Non è una cosa disprezzabile, è importante ma non è decisiva in quanto le leggi morali sono fissate secondo questo baricentro. Prendiamo un esempio fortissimo: il Decalogo. C'è qualcosa di più santo del Decalogo? No. Però nel Decalogo si dice: non prendere la roba d'altri, né l'asino né la moglie. La donna è ridotta ad una cosa posseduta, che non è certo una grande sapienza. Nelle leggi, anche in quelle della Bibbia, c'è condensata la cultura del tempo, esse non sono mai assolute se non sono ricondotte al principio generativo che le ha fatte essere. E cosi le nostre leggi morali sono relative. Noi guardiamo le altre culture con disprezzo, le nostre cose inique sono giuste. Noi abbiamo un concetto del furto che, come sapete bene, colpisce per lo più la povera gente, come gli zingari che certo sono ladroncel1i. Ma alla borsa di Milano ci sono dei ladri tutti i giorni, solo che quel furto è legale, fa funzionare la macchina. Con quelle operazioni qualcuno diventa povero, disgraziato, e altri ricchi. Dove stabiliremo noi il punto? E cosi quando abbiamo parlato del diritto internazionale e in nome del quale abbiamo schiantato vite umane. Ma quale diritto? Noi siamo prigionieri di questi paradigmi. Il punto decisivo è quello di porre il centro fuori. I1 «lascia tutto» del Signore non va inteso necessariamente in senso empirico, ma nel senso profondo, esistenziale. «Non vivere per te; scegli di vivere per amore degli altri, per la crescita dell'umanità, per la liberazione degli oppressi. Scegli un senso della vita che sia al di fuori di te e avrai la sapienza». Così nasce la sapienza in noi. Il punto di mediazione allora è come dice Paolo, «in quel punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla», cioè è un punto profondo del nostro essere, non è uno di questi principi formali con cui ci organizziamo, è nell'essere, nel profondo. Qui arriva la parola di Dio come spada tagliente. Chiudo, accorgendomi di aver svolto soltanto il versante umano di questo approccio alla sapienza, dicendo che da qui possiamo capire la necessità della sapienza ma anche la sua presenza nel mondo. Ci sono nel mondo molte creature sapienti, è che non sono quelle che noi valutiamo perché non hanno peso nella nostra organizzazione del sapere. Ma se potessimo dare parola allo sguardo di un bambino abbandonato che guarda stupefatto il mondo, o a quelli che vengono da lontano, come verranno, a questi indios che vengono dall'Amazzonia in questa città impazzita, se potessimo leggere il loro stupore, noi raccoglieremmo rigagnoli di sapienza che stanno fecondando la terra. Questo però non è un dono che si ha nelle accademie universitarie si ha per partecipazione e noi dobbiamo tenerci pronti a queste occasioni in cui la sapienza bussa alla porta. Queste occasioni sono tante e che Dio ci trovi svegli in quel momento.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 2

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