11 Giugno 2023 X Domenica T.O.

11 Giugno 2023 X Domenica T.O.

11 Giugno 2023 X Domenica T.O.

Prima Lettura Dt 8 2-3, 14-16
Salmo Responsoriale (Sal. 147)
Seconda Lettura 1Cor10,16-17

Vangelo Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 6, 51-58

 

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La vera chiesa di Dio è l’umanità, non la chiesa cattolica la quale, di questa unità, lo è, è
un segno, è uno strumento ed è fedele se lo è. Allora il nostro orizzonte si allarga ed il
problema diventa questo: come facciamo ad essere un corpo solo con coloro che sono
diversi da noi? Che arrivano da regioni lontane? Che non capiscono la nostra lingua? Che
non hanno mai conosciuto nemmeno il pane ed il vino perché dalle loro parti non ci
sono? Come facciamo? Come ci comportiamo? Il problema è più serio di quanto non
possa sembrare alla prima enunciazione. Io però sento che questo è il momento in cui
siamo messi alla prova, in cui le nostre declamazioni universalistiche sono messe di
fronte ad una pietra di paragone inesauribile. La risposta adatta a questa tappa del viaggio
— di quarant’anni, di quaranta secoli, di quaranta milioni di secoli — è di trarre nuove
forme di unità fra tutte le creature. Questo è un principio fondamentale perché non ci si
dimentichi che questo corpo — dobbiamo rifarci al linguaggio simbolico — che noi
siamo è un corpo che ha offerto se stesso per la salvezza di tutti. Nell’Eucarestia c’è una
dinamica oblativa che fa contrasto con la spinta centripeta che mira a fare di noi un corpo
rigido, chiuso in sé. Si è davvero in questa prospettiva se viviamo in modo oblativo, cioè
offrendoci per gli altri, facendo nostra la condizione degli esclusi perché Gesù ha
realizzato il mistero della salvezza diventando escluso fra gli esclusi, condannato fra i
condannati, reietto, criminale, perché come criminale fu ucciso. Ecco perché abbiamo un
po’ di diffidenza verso cerimonie tradizionali come le processioni. Quelle cerimonie
riflettono lo spirito di cui vi dicevo prima, criticandolo. Separano i cittadini che stanno
sul marciapiede a guardare e gli altri, ed ogni segno di separazione è in contrasto con
questo spirito. Noi dobbiamo creare un corpo solo. L’avventura è appena cominciata.
Usciamo da un cristianesimo tribale, chiuso dentro un perimetro ben rigido, che ha avuto
anche il momento euforico, ed a volte criminoso, di espandersi fino ai confini della terra
secondo le logiche della potenza e che oggi deve ricominciare un viaggio non già
sopprimendo il diverso ma accogliendolo, perché nella diversità che arriva c’è la parola
che scende dall’alto, dal Dio diverso. Questa apertura ci deve avvezzare a altri modi di
vivere e di mediare la verità che abbiamo ereditato. In questo passaggio del crinale
planetario noi dobbiamo ripensare, con una «fedeltà infedele», tutte le cose che ci sono
state tramandate perché altrimenti la fedeltà diventa retrospettiva e porta, come portava il
popolo nel deserto, a rimpiangere la tranquilla pace della schiavitù d’Egitto quando la
pentola bolliva e dentro c’era il necessario. C’è una fedeltà che è una mentita spoglia della
nostalgia del passato, mentre noi siamo chiamati a tenerci pronti a questo futuro che
viene. Allora il discorso dell’Eucarestia si apre nelle prospettive profetiche che investono
la storia intera. Come sarebbe bello poter celebrare questo rito con i fratelli dispersi che
stanno fra di noi impauriti, che non conoscono i nostri riti, che giustamente hanno paura
delle nostre catture spirituali. Come sarebbe bello! Non lo possiamo fare che raramente.
Ma questo dovremmo fare! Fino ad allora noi celebriamo questi riti sotto il segno del
peccato. Del resto è stato sempre così. Anche Paolo si accorgeva — ed era l’alba — che
quando si riunivano per fare l’Eucarestia c’erano quelli che erano sazi di cibo e di vino ed
altri che erano affamati e disse: «Che cosa stiamo celebrando noi? Non commettiamo un
sacrilegio contro il corpo del Signore?». Perché — ed una teologia anche tradizionale lo
ha sempre sottolineato — il vero corpo del Signore non è ciò che sta sotto l’ostia, ma
siamo noi. La realtà del sacramento non è ciò che sta sotto l’ostia, ma è l’umanità perché
noi siamo il corpo del Signore. Il segno visibile è il segno dell’invisibile corpo del Signor
che è, potenzialmente, l’umanità intera. Come capite, dobbiamo avvezzarci a creare nuove
liturgie, senza stupide rotture ma in obbedienza a questo impulso che veramente viene
dallo Spirito.
Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A

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