14 Agosto 2016 – XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

14 Agosto 2016 – XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

14 Agosto 2016 – XX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

 

 … è sempre da assumere come un segno empirico, non rigoroso per la nostra coscienza, questo: se si piace troppo a chi comanda è segno brutto, vuol dire che qualcosa non torna.

 

PRIMA LETTURA: Ger 38,4-6.8-10 – SALMO: 39 – SECONDA LETTURA: Eb 12,1-4 –VANGELO: Lc 12,49-57

 

…Se noi domandiamo come è possibile garantire oggi un bene comune nel quale i più deboli siano fi-nalmente liberati dalle ingiustizie che subiscono, noi non possiamo che essere seminatori di divisione in nome però di una pace che deve venire, verso cui ci stiamo muovendo. Dobbiamo essere attivi per questo cambiamen-to. Allora la parola di Cristo appare come potente verità: Egli è venuto a seminare la divisione. Noi abbiamo fat-to di tutto per ricostruire un ordine – le gerarchie, l’obbedienza… – abbiamo perfino evitato che i cristiani aves-sero un quotidiano contatto con il Vangelo, riservando questo compito ai «clerici» e rimettendo ai cristiani la consumazione delle briciole domenicali purché non si arrogassero il diritto di giudicare da sé. Invece questo è un diritto-dovere fondamentale. Ecco la rivoluzione che stiamo vivendo. Noi siamo appena una generazione che comincia. Saremo morti, ma altri continueranno perché ormai non c’è nessun dubbio – e questa è una verità lam-pante – che le interconnessioni del vivere quotidiano ci conducono alla totalità del genere umano. Non è più pos-sibile giudicare settorialmente se non nelle finzioni politiche, nelle gazzette, ma ormai c’è un divario sempre più visibile fra l’opinione pubblica confezionata in alto e l’opinione che uno si deve formare da sé, guardando con gli occhi suoi. Questa è una frattura sempre più larga. Noi viviamo in due città: una, quella di cui abbiamo la car-ta d’identità, l’altra è la città dell’uomo che però è una città reale, non astratta, perseguita attraverso i giochi dell’immaginazione. Il mondo ci viene a trovare in casa. Passando per la nostra via tutti i giorni vediamo come il mondo è qui, ci insegue e non possiamo più liberarcene. Allora volere la pace significa volere la guerra, non la guerra che uccide, ma la guerra che scompagina gli ordini, che mette in moto le coscienze, che di continuo stabi-lisce nuove fraternità. Credevamo di aver fatto tutto, credevamo di aver fatto una rivoluzione essendo dalla parte della classe operaia e ci accorgiamo che dietro gli operai, parte debole che ora è abbastanza forte, ci sono stermi-nate legioni di gente debole che non era prevista nel gioco della nostra attività politica. Noi dobbiamo assumere la sorte degli emarginati di casa nostra e di tutto il mondo. Questa via della pace è una via importante ed è la cro-ce di Gesù Cristo. La croce di Gesù Cristo è di assumersi dentro un ordine soddisfatto di sé, la difesa delle vitti-me di quest’ordine in modo che l’ordine si ripercuota su di Lui crocifiggendolo. Questa è la dinamica, in essen-za, della croce di Gesù Cristo. E chi non prende la sua croce non è degno di Lui, cioè non si dica cristiano. Chi osa professarsi cristiano è legato a questa legge di fondo che non ci dà pace, che non ci dà tregua e quindi ci por-ta a seminare divisione, che non è l’obiettivo ma è la conseguenza della nostra coerenza: è fare nostra la causa di tutti gli uomini. Questa parola così evidente alla nostra generazione urta direttamente contro questa stoltezza col-lettiva che Gesù ai suoi tempi constatava nella gente che lo ascoltava: «Sapete giudicare l’aspetto della terra e del cielo e non sapete giudicare questo tempo». Dobbiamo saper giudicare questo tempo. Il tempo di Gesù era un tempo che certo aveva le sue forme di malizia, ma noi abbiamo squadernato sotto gli occhi un mondo così attra-versato da ingiustizia ed iniquità che c’è da rimanere sgomenti. E ci viene chiesto di giudicare non nella solitudi-ne individualistica, ma sempre, con una responsabilità personale insostituibile, nel confronto, nel dialogo, nella solidarietà, nell’inserimento nei movimenti storici che sono provocati da questa percezione. Nella quale, voi ca-pite, la distinzione fra chi crede in Cristo o no diventa secondaria perché chiunque legge il tempo secondo questa logica è già con il regno di Dio, è già, nei fatti, nella vigna. Uno disse al padre: «Sì, vado nella vigna» e non ci andò, un altro disse: «Non ci vado» e ci andò. Molti sono nella vigna e non ci volevano essere. La vigna di Dio, il regno di Dio – lasciamo stare le immagini – è la realizzazione di questa pace che si ottiene attraverso la divi-sione, che è pesante, alcuni l’hanno portata fino alla morte. Tanti, dovendo scegliere tra la propria tranquillità e questa pace ideale, hanno scelto questa pace ed hanno perduto la tranquillità e perfino la vita. Questi sono i veri operai della vigna, non mi importa la loro anagrafe. Noi dobbiamo prepararci a vivere tutti i giorni questa provo-cazioni. Non è possibile, e se fosse possibile non è lecito, tapparsi gli orecchi e chiudersi gli occhi e quindi la no-stra coerenza di cristiani ci obbliga ad entrare nelle contraddizioni di questo tempo con questa chiarezza di scel-ta, anche se questo porta divisioni: non si piace ai superiori, non si piace in famiglia… Pazienza, è previsto. Anzi è sempre da assumere come un segno empirico, non rigoroso per la nostra coscienza, questo: se si piace troppo a chi comanda è segno brutto, vuol dire che qualcosa non torna. Occorre avere l’affetto e la riconoscenza dei più deboli. Questo è un segno evangelico. Non dobbiamo affidarci eccessivamente a questi segni che possono essere ambigui, lo ammetto, però quando nella nostra vita personale, soprattutto nella nostra responsabilità educativa, dobbiamo dare alle coscienze un orientamento, un metodo, non ci dimentichiamo di queste cose, perché è qui che si decide, in maniera radicale, dell’appartenenza al regno di Dio.

 

 

Ernesto Balducci – da. “Gli ultimi tempi” – vol. 3

 

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