14 Luglio 2019 – XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

14 Luglio 2019 – XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

14 Luglio 2019 – XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

 

Faccio presto a dire che il mio prossimo è il musulmano, l'induista, il feticista … Il problema vero è sapere se per l'uomo che ha bisogno di me io sono il suo prossimo. L'uomo a cui devo misurarmi è l'uomo ferito, colpito, l'uomo che sta ai margini fra vita e morte.

 

PRIMA LETTURA: Dt 30,10-14- SALMO: 18- SECONDA LETTURA: Col 1,15-20- VANGELO: Gv13,34

 

…Quando i Giudei dovevano pensare ad un «diverso» proprio «diverso», o pensavano ad un pagano o ad un samaritano. Erano alla distanza di una spanna, ma il loro orizzonte era stretto. Noi, uomini del tempo dei satelliti abbiamo accanto i samaritani che stanno in Africa, in Asia… abbiamo cioè la diversità distribuita nel pianeta come se ci fosse vicina, gomito a gomito. Cosa diciamo allora? Spesso entro, come posso, nelle grandi tradizioni della sapienza orientale, dell'Induismo, del Buddismo, delle grandi religioni come l'Islam, delle religioni etniche che chiamiamo primitive secondo le sistemazioni presuntuose della nostra cultura egemonica: sono preso da ammirazione. C'è un Verbo primordiale che si rifrange nella storia dell'uomo. Il mio compito è di capire queste rifrazioni, non di misurare le distanze dalle mie posizioni, ma di entrare dentro la radice del grande albero per ripercorrere le ramificazioni dall'interno. Io devo accogliere questa manifestazione molteplice di un Verbo che sta fin da principio. È una regola importante, anche questa: analoga a quella del rispetto delle coscienze. Qui quel rispetto viene fondato su una ragione oggettiva e onnivalente. Quanto è straordinario questo modo di considerare la sapienza altrui, anche se diversa dalla nostra, come un messaggio che nasce dalle origini! Quando dico dalle origini non faccio una allusione cronologica, ma ontologica, di valore, perché Dio è l'origine permanente delle cose, è il Verbo che e in tutti anche nell'ateo, non in quanto dice che è ateo, ma in quanto dice in positivo qualcosa riguardo all'uomo, all'ordine, alla giustizia … Occorre ascoltare tutti, non in una specie di generica equiparazione, ma in un rispetto della «sinfonia della verità». La verità non è una nota che si muove monocorde. Veniamo ora alla terza norma, che è il punto chiave del discorso. Fino a che dico queste cose, non faccio altro che faticate ma sincere esercitazioni di universalismo astratto. Il problema è quello concreto. Vi facevo osservare in prolusione il capovolgimento che Gesù compie. Il dottore della legge domanda: «Chi è il mio prossimo?» e Gesù domanda a lui: «Chi è il prossimo di quel ferito?». Faccio presto a dire che il mio prossimo è il musulmano, l'induista, il feticista … Il problema vero è sapere se per l'uomo che ha bisogno di me io sono il suo prossimo. L'uomo a cui devo misurarmi è l'uomo ferito, colpito, l'uomo che sta ai margini fra vita e morte. Notate la grande divina ironia di Gesù che fa passare accanto a questo ferito un sacerdote che tira oltre e un levita che tira oltre. Chi e veramente il prossimo del ferito? Un samaritano, cioè lo scomunicato per i Giudei. Dire samaritano era molto più grave che dire tra noi comunista: era una parola terribile ed i samaritani, che erano interni a questa dialettica, si comportavano di conseguenza. Abbiamo letto l'altra domenica che Gesù voleva fermarsi in un loro villaggio, ma sapendo che Egli andava a Gerusalemme, non lo vollero nemmeno ricevere. Gesù era dentro un conflitto dai toni aspri. Ebbene il prossimo del ferito è un samaritano. Qui troviamo la norma concreta di quell'universalismo facile, tutto sommato, di cui parlavo prima. Quel che conta nell'ottica del Cristo non è che uno si dica cristiano o non cristiano, ma che uno scenda dalla sua sicurezza e prenda cura dell'uomo ferito. Chiunque lo faccia è nella verità, entra nella vera condizione di prossimo all'uomo. Certo io mi sento più prossimo all'uomo della mia generazione che ha la mia cultura, i miei interessi, ha letto i miei libri: io ci sto bene. Però non me ne faccio un vanto: è semplicemente un dato anteriore alla libertà. Quello che mi mette in crisi è l'incontro con colui che è ferito cioè con colui che è in uno stato di necessità. Pensate a quanti sono! lo mi devo misurare con loro, devo essere il loro prossimo con tutto quello che comporta. Viene da rimpiangere la società primordiale, anteriore alle grandi organizzazioni in cui tutto si risolveva nel gesto privato verso il bisognoso. Lo so che non è più possibile così. Del resto nella parabola c'è persino un adombramento della mediazione tra questo esser prossimo al bisognoso e la realtà: l'indicazione dell'albergo, del pagamento dei denari all'albergatore … Come dire: la passione per l'uomo ferito ci deve portare ad usare anche tutte le strutture necessarie per liberarlo dalla sua condizione. L'universalità passa al concreto. Il Vangelo non è mai una esercitazione mistica su Dio. Ci sono libri orientali stupendi al riguardo, esaltanti. Il Vangelo ha questa modestia del quotidiano che è la sua proprietà straordinaria, e ci riconduce, dopo tutti i discorsi, al concreto concretissimo che è l'uomo della strada. Tutto l’universo dei concetti, per una specie di improvvisa precipitazione chimica, si risolve nell'uomo concreto che langue in mezzo al sangue delle sue ferite. Questo capovolgimento è ciò che ci tormenta.

 

 

Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – Vol. 3

 

 

 

 

 

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