17 Gennaio 2021 – 2° DOMENICA TEMPO ORDINARIO- Anno B

17 Gennaio 2021 – 2° DOMENICA TEMPO ORDINARIO- Anno B

17 Gennaio 2021 – 2° DOMENICA TEMPO ORDINARIO- Anno B

 

PRIMA LETTURA: 1 Sam 3, 3b-10. 19    SALMO: 39  SECONDA LETTURA: l Cor 6, 13c-15, 17-20

VANGELO: Gv 1,35-42

 

 

 

… La condizione antropologica che – ci piaccia o no – stiamo vivendo, che ci lavora dentro, ci corrode, ci smonta, ci distrugge e ci ricostruisce, esige in qualche modo la ricomposizione di questa duplice polarità. Esser credenti intanto vuol dire «essere dei cercatori», non già «avere delle risposte». Uno che crede veramente in Dio è sicuro che non può dimostrarlo. Credere in Dio significa cercare, far domande senza chiudersi in nessuna risposta già data. L'altra faccia della fede è l'incertezza, è l'inquietudine, è la possibilità che si apre come ventaglio perenne dinanzi alla coscienza e non è la risposta data e ferma come la formula di un catechismo da ripetere a memoria. Noi non possiamo oggi essere minimamente credibili – a tutti i livelli, non solo a quello della fede – se non riprendiamo l'atteggiamento della ricerca. Ho detto atteggiamento, ma ho sbagliato perché non si tratta di cambiar stile ma di cambiare il modo interno di esistenza, liberandoci dalle biblioteche, dal tempio, da tutto ciò che contiene il deposito del passato. Solo nella discontinuità noi ritroviamo il continuo, solo essendo infedeli si ritrova la fedeltà profonda: non la fedeltà esterna, ripetitiva, meccanica, quella che dà stanchezza, che tutto conserva perché dentro tutto è morto, dove tutto si ripete ma niente ha più senso. Così anche nella vita cristiana è avvenuto, in gran parte. Vi assicuro che il senso di stanchezza che mi sembra di avvertire in giro, è dovuto proprio alla percezione – magari confusa, perché se è lucida, uno cambia – che siamo come assediati da una rappresentazione della realtà tutta falsa che non risponde al reale, tutta manipolata, tutta funzionale ad alcuni interessi costituiti, che a loro volta sono sempre più determinati e sempre più percepibili nella loro settorialità, mentre il flusso vero delle cose è altrove e l'ansia, la sofferenza del mondo è altrove. Per cui le immagini che del mondo ci danno i mezzi di comunicazione è così angusta, così legata al particolare nostro che alla fine siamo stanchi. Anche le menzogne hanno le loro stagioni e invecchiano. Le nostre sono menzogne invecchiate, non sono nemmeno fresche come erano nell' ottocento quando i nostri padri erano tutti frementi per la civiltà che portavano nel mondo. Noi non portiamo più nulla, solo armi e fame e distruzione. Eppure ci raccontiamo ancora le menzogne e ogni giorno i mezzi di comunicazione ci rimbombano nell' anima ponendo in primo piano questioni che sono di ultima importanza e facendo totale silenzio sulle grandi questioni. Queste però vanno avanti nella realtà e creano sotto di noi il vuoto, l'abisso in cui potremmo precipitare. Tornare ad essere cercatori è sempre un modo di inquietare la gente, di essere insopportabili. Le persone sopportate sono quelle che non inquietano, che anzi partano quasi una ratifica all'esistente, anche se vogliono cambiare qualcosa, come quando uno entra in un ufficio e cambia la posizione dei mobili e dei quadri per darsi l'impressione di aver portato un soffio di novità, ad una routine perenne e assoluta. Dobbiamo ritrovare la giovinezza dell'anima. Essa, lo ripeto ancora, non è un vezzo, è una necessità: o cambiare o morire! Dobbiamo anche abbandonare la presunzione che si possano trasmettere le nostre certezze attraverso i documenti, gli atteggiamenti autoritari … Noi dobbiamo adattarci – ci piaccia o non ci piaccia – a trasmettere le grandi certezze con la testimonianza personale: «venite e vedete». Finché non possiamo dire così è meglio che nostro mondo muoia. Prima fa, meglio è. Non possiamo più rispondere con parole già dette, con gesti già fatti ma dobbiamo rispondere con la testimonianza della vita, che non è solo vita esterna, ma è anche vita interna: è passione, è amore, è premura. La nostra realtà umana non è solo quella che è nel quadro, ahimè forse definitivamente rigido, di certe situazioni di esistenza, ma è nell'afflato che attraversa queste situazioni e cambia loro il senso.

                                     

                                               Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 2

 

/ la_parola