17 Settembre 2023 24a Domenica t.o.

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17 Settembre 2023 24a Domenica t.o.

Prima Lettura Sir 27, 30-28, 7

Salmo Responsoriale (Sal. 102)

Seconda Lettura Rm 14, 7-9

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 18, 21-25

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Il perdono va inserito all’interno di una dinamica di amore che comporta la premura
del fratello, il desiderio che fra me e lui che mi ha offeso nasca una intesa, una
comprensione, un’amicizia, come diceva Gandhi, «a costo di soffrire io tutte le sofferenze
che dovrebbe subire lui». Digiunare, soffrire anche psicologicamente per il torto subito, al
posto di chi ce lo ha inferto, questa è grandezza, al suo limite estremo. Il cristiano sa a chi
può riferirsi: a Colui che ha preso su di sé tutti i torti del mondo e che all’improvviso ha
«disteso» sul mondo, dalla croce, una parola profonda che è del tutto in linea con questo:
«Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno». Torniamo alle radici del
rapporto con l’altro — nella nostra ipotesi, di chi ci offende — e sappiamo che non si
risolve tutto dicendo: «quello che mi hai fatto non mi interessa, te lo condono» perché il
condonare non vuol dire guarirlo, liberarlo. A me preme la sua liberazione. Non perché
voglio fare un atto di virtù, io devo essere angosciato del fatto che uno non mi ama, che
ce l’ha con me ingiustamente. Questo principio è fondamentale nel comportamento, lo
rende virile, serio. Chi mi ha offeso, ha toccato un valore a cui tengo, deve esserne
convinto ed io dovrò trovare i modi per entrare in questa comunicazione con lui. Questo
discorso diventa fondamentale al livello planetario. Guardate cosa succede adesso in
questo groviglio minaccioso del Medio Oriente. Chi ha torto? Chi ha ragione? Il torto e la
ragione non si misurano sull’immediato ma vanno rintracciati facendo una anamnesi,
ricordando la storia dei nostri rapporti. Non si può cogliere una situazione nella sua
immediatezza, non è razionale, va colta nella sua genesi e allora al di là di quella che è la
percezione e la valutazione e la soluzione politica, che ha certo una sua relativa
autonomia, c’è un grande problema: noi cosa abbiamo fatto con quel mondo che oggi ci si
presenta così minaccioso? Che rapporti abbiamo avuto? Di corruzione? Di dominio? Di
sfruttamento? Può essere, anzi, lo è. L’unica salvezza è l’intesa, è la comprensione, è la
messa in comune dei beni, è la liberazione dal rapporto di dipendenza e di dominio. Le
altre soluzioni — Dio voglia che ci siano e siano diverse dal sangue — non sono
soluzioni. Ormai l’umanità è chiamata ad intendersi. Ecco il punto essenziale. Ogni
cultura che si attarda sui vecchi concetti — autonomia, sovranità … — è una cultura
antiquata, non tiene conto della nuova dimensione in cui siamo, in cui la percezione delle
responsabilità altrui è profonda. C’era un tempo in cui, anche nelle brave famiglie che
avevano la servitù, i servi avevano grande rispetto per la famiglia dei padroni. Forse
erano dei mascalzoni ma per il servo i padroni non erano dei mascalzoni. Che bei tempi,
dice qualche persona legata al passato. Erano tempi infami, miseri. E così nei confronti
dei popoli del Medio Oriente noi abbiamo l’atteggiamento padronale. Crediamo che essi
non capiscano nulla ma capiscono tutto e ricordano tutto. Il momento è drammatico. Il
discorso del perdono, se lo proiettate attraverso le opportune mediazioni su questo
parametro, ci dice molte cose, ci dice che noi non potremo più vivere su questa terra se
non vivremo in intesa con gli altri, in un rapporto di amicizia, di corresponsabilità. È un
cammino lungo che dobbiamo fare ma voi vi accorgete che alternative non ce ne sono
più. Ecco perché queste antiche parole non vengono da lontano, vengono dal profondo.
Anche il profondo è lontano ma diventa vicinissimo se noi, rompendo l’alienazione su cui
ci tratteniamo, l’involucro dei luoghi comuni di cui viviamo, scendiamo verticalmente in
quella. profondità della coscienza dove tutte le parole della saggezza, per antiche che
siano, vivono una inquietante contemporaneità con noi. Questo messaggio antico è quindi
un messaggio per l’oggi. Dio ci renda aperti a coglierlo e a viverlo con creativa fedeltà.

Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A

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