19 Maggio 2019 – QUINTA DOMENICA DI PASQUA – Anno C

19 Maggio 2019 – QUINTA DOMENICA DI PASQUA – Anno C

19 Maggio 2019 – QUINTA DOMENICA DI PASQUA – Anno C

 

Non c'è più l'esaltazione della guerra come salute dei popoli, come segno di grandezza nazionale. Al suo posto non c'è più niente, perché la verità che emerge oggi è che non potremo vivere più se non in pace. Questa è una novità. Prima si poteva vivere con le guerre, era sufficiente risanare subito dopo le piaghe per preparare la guerra successiva. Oggi non si può più. È la novità. Come non vederlo? Dobbiamo ricostruire il mondo secondo la nonviolenza, cioè secondo amore.

 

PRIMA LETTURA: – At 14,21-2- SALMO: 144- SECONDA LETTURA: Ap 21,2-5°- VANGELO: Gv 13,31

 

…L’idea che la violenza è una necessità storica è entrata nel cuore cristiano, per cui l’ amore è diventato un'esperienza da liturgie domenicali, da piccoli gruppi o da isolamenti conventuali, è diventato un'esperienza senza rapporti con la storia perché la storia era rimessa a leggi sue leggi economiche intoccabili come quelle fisiche: il libero mercato, la concorrenza … Il genio della violenza, inseritosi nell'universo della ragione, ha toccato tutto, perfino la santa chiesa che ha avuto il suo Sant'Uffizio, le sue prigioni, i roghi, la guerra santa … Dov'è l'amore? Non mi si venga a fare il solito discorso sulla bellezza dell' amore cristiano, dell' amore reciproco, perché questo amore deve imprimersi nelle città altrimenti esso è soltanto una compensazione, una fuga. Gesù non ha creato una comunità 0notturna, una comunità marginale come quella degli Esseni che stavano sulle rive del Mar Morto con tutte le loro devozioni, senza disturbare nessuno. Il potere costituito è pronto anche a sovvenzionare queste oasi di recupero. Gesù ha amato fino ad andare in croce, cioè ha disturbato l'ordine costituito. Questo è il mistero che dobbiamo accettare fino in fondo. Noi siamo un mistero a noi stessi, non appena rompiamo quel codice di filtraggio con cui i più bei desideri li riduciamo ad un desiderio da supermarket e le più grandi aspirazioni umane vanno a finire in qualcosa di molto prosaico. Così la parte migliore (il nostro mistero) rimane in noi nascosto. Se rompiamo questo schermo ritorna visibile il mistero in noi. L'amore è costruttivo della città santa, di cui abbiamo sentito parlare con così belle parole dall' Apocalisse. Dobbiamo domandarci che senso ha oggi non l'amore come fruizione intersoggettiva, privata, ma l'amore costruttivo di una città. Mi pare che la risposta possa venire con molta facilità. Dobbiamo prima di tutto guardare la storia umana – questa è la grande lezione globale che ci viene dalla manifestazione della salvezza che ci dà la Bibbia – che è piena di segni di novità. Il nostro Dio è un Dio che fa «nuove tutte le cose» e questo non una volta per sempre, di continuo. Giudicare il futuro che viene con gli schemi del passato è un'offesa a Dio, come se egli fosse un Dio da antiquariato. Se emergono situazioni inattese, guardiamo: potrebbe trattarsi di Dio che fa nuove tutte le cose. Noi siamo in una condizione umana in cui si fanno nuove tutte le cose perché l’architettura della violenza è in sfacelo: nemmeno quelli che la sostengono sono più in grado di difenderla, devono trovare altre parole. La violenza, quella che ho sentito decantare nelle scuole, è finita perché non è più un messaggio culturale credibile e quindi è costretta a camuffarsi. Anche tutti gli ordigni che sono distribuiti in Europa ed in Italia sono collocati per la pace: il loro segno è la pace. Non c'è più l'esaltazione della guerra come salute dei popoli, come segno di grandezza nazionale. Al suo posto non c'è più niente, perché la verità che emerge oggi è che non potremo vivere più se non in pace. Questa è una novità. Prima si poteva vivere con le guerre, era sufficiente risanare subito dopo le piaghe per preparare la guerra successiva. Oggi non si può più. È la novità. Come non vederlo? Dobbiamo ricostruire il mondo secondo la nonviolenza, cioè secondo amore. La parola amore, se la togliete dalla vaporosità sterile che ha, questo significa: stabilire rapporti di nonviolenza tra popolo e popolo, uomo ed uomo. Così facendo, una nuova città nasce. Non so quale sarà questa città. Non è quella che abbiamo alle spalle. Tutte le belle e grandi città hanno una storia gremita di memorie di guerra uccisioni, stermini, sfruttamenti. Noi vogliamo una città diversa che sia come una anticipazione della città ultima. Lo sguardo volto verso l'evento ultimo non è uno sguardo che scavalca ma penetra dentro il tunnel della storia. Altrimenti a cosa serve? Così dovremo fare, cioè vedere di ricostruire una città secondo amore. Questo vuoI dire – sembra semplice – riprendere in mano !'intero organismo articolatissimo della nostra convivenza e smontarlo e ricomporlo. Sapete voi cosa significa una economia di pace? Sapete voi cosa significa una famiglia in pace? Sapete voi cosa significa una scuola di pace? Sapete voi cosa significa una costruzione fisica di una città che sia una costruzione volta alla pace e non alla segregazione? Sapete voi cosa significa una punizione data a chi sbaglia ma secondo una cultura di pace? Non è sufficiente voler la pace con sentimento. Di sentimenti siamo saturi. Essi sono camuffamenti. Perfino le SS accanto ai forni crematori avevano le gabbie con i canarini o suonavano il violino. Il sentimento è una mistificazione se non passa attraverso la struttura oggettiva e costruttiva della razionalità. Dobbiamo intraprendere questo compito e ci siamo. Potremmo anche fare un quadro in positivo delle nostre città dove ci sono energie straordinarie che mirano a costruire un diverso rapporto, una premura per gli emarginati, per i gruppi etnici nuovi arrivati che si insediano fra di noi. Vorrei dire: ogni frattura ha fatto nascere una mobilitazione che prepara una nuova città. È il vero modo di intendere la parola del Signore sull'amore reciproco, liberata dalle interessate spiegazioni che la componevano dentro una organizzazione bellicosa. Le parole ascoltate oggi venivano recitate da un cappellano militare prima di una battaglia. Non c'era niente di strano perché si diceva che esse erano un'altra cosa. Invece non sono un'altra cosa, sono parole destinate a sciogliere gli eserciti, a dare anche ai compiti di chi vigila e costruisce la città un senso diverso.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3

 

 

 

 

 

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