26 Maggio 2024 SS Trinità

26 Maggio 2024 SS Trinità

26 Maggio 2024 SS Trinità

Prima Lettura Dal libro del Deuteronomio Dt 4, 32-34 39-40
Salmo 32
Seconda Lettura Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani Rm 8, 14-17

 

Dal Vangelo secondo Matteo Mt 28, 16-20

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Per avviare la riflessione di oggi usiamo il brano del Deuteronomio in cui Mosè
invita il suo popolo a ricordarsi delle grandi opere che Dio ha fatto per lui. Da
questo ricordo il popolo doveva trarre riconoscenza, motivo di fedeltà ai
comandamenti. La caratteristica della fede secondo l’insegnamento biblico è che
essa si fonda più che sull’intelligenza che specula, sulla memoria che rievoca. E
d’altronde l’unico modo per tutelare 1a nostra fede dalle posizioni astratte in cui si
congela e diventa sterile, è anche per noi di ripercorrere le grandezze di Dio con la
memoria. Solo che la nostra condizione è estremamente diversa; non possiamo
facilmente esortare noi e gli altri alla fede solo invitando al ricordo, perché il nostro
ricordo ovunque si posi, è quasi sempre un ricordo impaurito. Non abbiamo gesta
grandi da raccontare. Se davvero la fede dovesse reggersi sulla memoria, avremmo
molti motivi per dubitare. Ci dà conforto il fatto, come dice il Vangelo, che dinanzi
a Gesù in Galilea, i discepoli lo adorano ma alcuni dubitano. Il dubbio è ospite
legittimo, dentro la fede, è come l’altra faccia della fede; è l’interrogativo a cui la
fede risponde per rinascere costantemente. Il dubbio di cui ora parlo non è il dubbio
dell’egoismo, della grettezza interiore; è generato dalla consapevolezza del passato.
Non si tratta di una consapevolezza apologetica come quella che si vuol costruire
spesso nelle scuole, secondo criteri nazionalistici e clericali, per cui del
passato si ricorda solo ciò che giova alle nostre certezze e si dimentica il resto. Se
aderisce onestamente ai fatti la memoria è ambivalente. Avremmo motivi, a volte,
per dubitare di Dio. Così mi veniva fatto di pensare nei giorni scorsi quando
un’immensa moltitudine è accorsa nei campi di Auschwitz. Quel luogo era anche un
segno dell’assenza di Dio; uno poteva anche domandarsi come possa ancora essere
invocato come padre quel Dio che ha permesso un genocidio di dimensioni così
spaventose. La memoria, se è obiettiva, è ragione di perplessità, quanto meno. Noi
ci troviamo oggi in una condizione difficile perché non possiamo ricordare il
passato dell’uomo secondo le dimensioni accomodate della storia sacra. Le vicende
umane non sono da ricondursi alle origini fissate dalla cronologia biblica, perché la
scienza ci costringe a spostare l’origine dell’uomo a milioni di anni fa. Difficilmente
possiamo collocare l’epopea della specie umana sotto l’arco della divina paternità.
Le prospettive che la scienza ci obbliga ad avere non si confanno con la facile fede.
E anche se noi parliamo dell’uomo sulla terra, non possiamo più parlare con l’enfasi
di chi lo vedeva al centro del mondo. Come sappiamo l’uomo è disperso in un
pianeta disperso in una galassia dispersa. E la vita che l’uomo ha in sé quale sintesi
di lunghi processi è come un episodio improbabile e fragile in un universo che ci
appare senza vita. La nostra mente, nell’età adulta che deve avere — l’età
infantile, ingenua oggi diventa patologica e pericolosa — si trova come
nell’impossibilità di costruire 1a fede con dati obiettivi. Ecco la nostra prova. Una
prova nuova a cui dobbiamo far fronte con coraggio perché — ecco il punto di
superamento dello stato di crisi — la fede che noi proponiamo, che noi
proclamiamo, che noi dobbiamo vivere nasce da una certificazione interiore che
viene dallo Spirito Santo, la persona della Trinità direttamente impegnata
nell’evento straordinario della fede. Anche nella nostra vita personale, se noi
ricordiamo il passato avendo negli occhi della memoria una luce di amore,
riusciamo a scorgere il fiore tra le macerie: quel fiore è più importante delle
macerie. La verità del passato morto si illumina nella proiezione di un interrogativo
che lo ricostruisce secondo la straordinaria esperienza
del presente. Se io ripenso al passato secondo la mia fede trovo motivi di glorificare
Dio. Non si tratta di prove oggettive da pubblicare in piazza, ma di una verità
assoluta, quella che l’amore narra a se stesso. Posso narrare la gloria di Dio nei fatti
del passato, ma non come chi polemizza col non credente portando prove in mano,
ma come chi parla a se stesso delle meraviglie conosciute solo dall’amore.

Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

/ la_parola