2 Maggio 2021– 5° DOMENICA DI PASQUA – Anno B

2 Maggio 2021– 5° DOMENICA DI PASQUA – Anno B

2 Maggio 2021– 5° DOMENICA DI PASQUA – Anno B

 

PRIMA LETTURA: At 9, 26-31    SALMO:21    SECONDA LETTURA: 1 Gv 3, 18-24

 

VANGELO: Gv 15,1-8

 

 

 

 

 

 

… Negli Atti degli Apostoli c'è un passaggio che oggi, per la prima volta, mi ha colpito. Quel disturbatore di comunità che era Paolo di Tarso, iniziò col disturbare le comunità giudaiche parlando ai Gentili, cioè agli «altri», affermando che il cuore di Dio è così grande da amare i Gentili. Cosa che per noi è ovvia, ma per i Giudei era assolutamente inaccettabile. Per questo egli subì la persecuzione. In questo passo si dice che gli Ebrei di lingua greca lo volevano ammazzare. A causa di questa trama di eliminazione fisica, Paolo deve muoversi da un punto all'altro come un brigatista braccato. Probabilmente – non c'è da escluderlo – fra questi Ebrei tentati di farlo fuori c'erano anche molti cristiani legati alla loro tradizione giudaica. Ebbene, nonostante queste trame di morte, «la chiesa era dunque in pace». Per la verità una pace strana! È che la pace non significa affatto tranquillità, serenità … No! La chiesa era in pace perché era in fedeltà a questa consegna dell' amore. La pace è dentro la tribolazione, non fuori. La pace è nell' assecondare la spinta universale che portava Paolo a girare di città in città come apostolo di un messaggio di liberazione. La sua azione di pace consisteva nell' emancipare le coscienze giudaiche che erano un cemento armato di nazionalismo, di memorie etniche, e quelle dei Romani, tutti schiavi dell'istinto di potenza, del culto dell'imperatore. Liberare le coscienze voleva dire spezzare il cemento armato. Noi che siamo abituati a parlare di rivoluzioni soltanto con riferimento ai rapporti economici e a quelli politici, non ci dimentichiamo che la rivoluzione delle rivoluzioni è quella che spezza i blocchi di cemento armato delle coscienze. Il messaggio che dobbiamo portare è un messaggio che scompagina le formazioni terrene perché è sospinto dal bisogno di universalità. Non saremo in pace finché non saremo, tutte le creature, una sola famiglia. Altro che comunità entusiastiche, esaltate, chiuse nel privilegio della loro esperienza! Quel che ci guida, ci sorregge e ci disturba è questa dialettica: per avere veramente una esperienza di chiesa, io devo star fuori della chiesa, devo guardarla dal di fuori, non dal di dentro. Dal di dentro sono attratto e aggregato dall'egoismo collettivo, che si moltiplica per processo di induzione nella moltitudine delle coscienze che fanno parte del gruppo. Devo star fuori del gruppo, devo essere contro il gruppo a cui appartengo per tenerlo nelle dimensioni dell'ampiezza del cuore di Dio, altrimenti mi faccio strumento del particolarismo. E così nella misura in cui io sono fuori, in cui vivo nella diaspora, braccato come Paolo, fuori dei confini anche psicologici della comunità, io devo ricordarmi che la mia vera identità è là dove io posso, insieme al fratelli, esprimere con gioia la stessa fede e la stessa speranza. Questa impossibilità di far coincidere due punti dislocati tra loro è la vera tribolazione morale, ma anche la nostra salvezza. Il tempo in cui siamo – il tempo delle cose, della reificazione universale – esaspera la fame e la sete del focolare. Dobbiamo rendercene conto anche a livello pedagogico. A volte trovate nel volto dei giovani tristezze e delusioni di cui non sapete l'origine. Fate un'ipotesi: che ci sia la nostalgia del focolare? Parlo per simboli. Essa deve fare i conti con l'altro bisogno, quello di una universalità talmente concreta da apparire come contestazione del gruppo, come rigetto del gruppo di appartenenza. Se non ci facciamo stranieri in casa nostra, la casa nostra diventa una prigione, diventa un fortilizio aggressivo.

 

Ernesto Balducci- da: "Il Vangelo della pace" – vol. 2

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