20 Dicembre 2015 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno C

20 Dicembre 2015 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno C

20 Dicembre 2015 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno C

 

Non si ha pace con Dio perché si fanno dei sacrifici, perché si guadagnano delle indulgenze: si fa pace con Dio perché ci si sacrifica per i fratelli. Questa è la via della salvezza.

 

PRIMA LETTURA: Mic 5,1-4a- SALMO: 79- SECONDA LETTURA: Eb 10,5-10- VANGELO: Lc 1,39-45

 

…Se uno assume l’universalità del cristianesimo come norma di condotta, sarà perseguitato dai suoi fratelli, dai suoi superiore, dalla Chiesa istituzionale, dalle persone perbene… Sarà scacciato come un rognoso, per forza. Noi stiamo in piedi in virtù della nostra relativa fedeltà, e cioè delle nostre infedeltà. Ma chi è fedele a questo disegno non può che essere immolato. Quindi l’immolazione del Cristo non è una immolazione rituale, che placa un Dio terribile, secondo le presentazioni medioevalistiche, in cui scopriamo condizionamenti di ogni genere. No, l’immolazione è il risultato di una obbedienza totale. Allora esso trova legame – come dicevo in partenza – con la nostra condizione umana. Allora sì, che la pagina della nostra cronaca quotidiana riceve uno squarcio di luce, si illumina. Che significa per me – in parole povere – essere fedele a questo disegno se non essere fedele giorno per giorno, nelle grandi ore della storia e nelle minuscole ore della mia cronaca, a questo progetto di vita? Per cui la mia vita non serve per me. Questo essere fedele ad una obbedienza è un progetto che mi trascende; accettare questo respiro di universalità(nella piccola casa di Nazareth o nelle nostre città, non ha importanza) significa collocarsi nel grande ritmo della salvezza, le cui conseguenze, i cui risultati non sono visibili. Bisogna crederci: «Beata Te, che hai creduto all’adempimento». Credere all’adempimento vuol dire vivere senza prove. Che forse gli uomini di pace sono riusciti a fare un mondo pacifico? Non mi sembra. Beati loro che ci credono, però, nonostante il sorriso dei realisti che dicono che l’umanità sarà sempre nelle guerre, perché è la natura dell’uomo che lo vuole. Beati quelli che credono nella pace, credono spendendo di persona. Quelli che credono sul serio, non quelli che professano la domenica la loro fede, ma quelli che calano la fede nel quotidiano, costoro sono immolati. Ognuno vive la sua immolazione secondo misure che non sono sempre visibili, ma è chiaro che chi è fedele a questo progetto di Dio è immolato. Viene perseguitato perfino dai familiari. Gesù è venuto a separare davvero, come una spada, lo sposo dalla sposa, i figli dai genitori, come Egli dice. Immaginatevi una famiglia. Una famiglia vive per sé, per la sua sistemazione, per il profitto economico, per il prestigio sociale… Capita un figlio che non ne vuol sapere: costui è separato. Se egli non assume l’egoismo familiare come una regola ma fa suo un progetto di salvezza dell’uomo, costui è reietto dalla famiglia. Ma questo vale per ogni istituzione. I profeti hanno sempre contestato le istituzioni sacre, perché esse assorbivano la grande speranza messianica, mortificandola nel rito, congelandola nel gesto e nella presunzione. Non si ha pace con Dio perché si fanno dei sacrifici, perché si guadagnano delle indulgenze: si fa pace con Dio perché ci si sacrifica per i fratelli. Questa è la via della salvezza. Se potessimo, con sacrifici o con riti sacri (l’analogo dei sacrifici del vecchio tempo, sono le pratiche religiose) presumere di essere in pace con Dio dovremmo darci da fare a moltiplicare i rosari e le novene. Ma se invece, per caso, la via della pace con Dio è il sacrificio per i fratelli, allora l’impegno è molto più duro. Non basta moltiplicare gli atti, bisogna cambiar vita. Occorre domandarci se il nostro modo di vivere – individuale e collettivo e di classe – non sia strutturalmente nemico dell’uomo; se il vivere dentro la logica del profitto non sia, al di là delle nostre pratiche religiose, già un crimine contro l’uomo. Allora, scegliere vuol dire rimettere in questione, radicalmente, la nostra appartenenza a questo mondo, alle leggi che regolano la nostra vita, individuale, di famiglia, e di classe. Vuol dire, dunque, ripensare in radice a noi stessi. Ecco da dove scaturisce il nostro bisogno di cambiare profondamente la nostra vita cristiana e farne una offerta di oblazione per la salvezza degli altri. Da qui nascono le scelte morali e le scelte politiche conseguenti. Chi non si interroga sul senso che ha il dare la vita per i fratelli più disgraziati, costui inutilmente prega, inutilmente fa dir Messe in suffragio per i defunti, perché la sua non è una religione vera, proveniente dalla salvezza del Cristo, è ancora una religione chiusa nella presunzione del tempio, nelle fabulazioni e nelle alienazioni dell’uomo deviato. L’uomo ha sempre cercato la salvezza attraverso forme magiche, attraverso riti propiziatori che fossero al di fuori del suo dispendio personale. Cristo è venuto a dirci che la nostra religione consiste nell’offrire il nostro corpo all’immolazione per la salvezza degli uomini.

 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” vol. 3 – Anno C 1976/77)

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