21 Aprile 2024 4° Domenica di Pasqua

21 Aprile 2024 4° Domenica di Pasqua

21 Aprile 2024 4° Domenica di Pasqua

Prima Lettura Dal libro degli Atti At 4, 8-12
Salmo 117
Seconda Lettura Dalla prima lettera di San Giovanni apostolo 1Gv 3, 1-2

Vangelo Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 10, 11-18

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Sono molte le occasioni (vorrei dire, ogni giorno è un’occasione!) per mettere
alla prova la nostra fede nel Dio di Gesù Cristo. Perché da una parte la fede
porta con sé la sicurezza, in mille modi ribadita dal Vangelo, che il nostro Dio
è Padre, che i capelli del nostro capo sono contati: nessuno ne cade senza che
Egli lo permetta. Egli veste i fiori dei campi, nutre gli uccelli del cielo.
Credere significa affermare questa paternità che investe tutte le creature di
tenerezza senza confine. Dall’altra — è parola del Vangelo — questo Dio noi
non lo conosciamo. Solo il Figlio lo conosce, proprio quel Figlio che nell’ora
della sua tribolazione non fu esaudito: Egli bevve il calice. Ecco l’antinomia
profonda della fede, che rimane anche oggi quella che fu, senza potersi mai
chiudere in una pacifica sintesi.
Verrei meno alla mia coerenza di uomo di fede, se non confessassi di continuo
la divina paternità, e non in nodo volontaristico, per partito preso, ma per
esperienze. La paternità di Dio la possiamo contemplare, non certo

induttivamente, ma in virtù di una luce di fede che ci fa vedere la nostra
vita, i nostri giorni, i nostri incontri, le vicende del tempo come attraversate da
un disegno di amore che dovrà manifestarsi completamente. Questa è la parola
luminosa della fede.
Ma c’è anche una parola oscura della fede, che noi spesso, per pudore, quasi
per timore di minacciare la fede dei fratelli, o di mettere in rischio la nostra,
inibiamo in noi stessi. Ed è questa: che il Dio di cui tanto parliamo noi non lo
conosciamo; Egli è un Dio nascosto, le cui vie non ci sono manifestate. I fatti
della nostra storia sono lì a testimoniarci che ben altro che i capelli del capo
cadono senza che una provvidenza intervenga.
Il tempo in cui viviamo è fatto apposta per introdurci con violenza entro gli
spazi del Venerdì Santo, dove il giusto geme e muore e gli ingiusti sono
tranquilli: anzi, si rallegrano di aver portato a termine il loro disegno! Siamo
in un tempo in cui le notizie affluiscono con tanta rapidità che non ci è
possibile alzare il velo della noncuranza sulle vicende di questa umanità, che
diciamo fatta di figli di Dio. Le notizie non le possiamo più filtrare secondo il
nostro gusto; non viviamo come monaci antichi chiusi nel loro orticello dove
vedono fiorire i fiori, maturare i frutti, o sorgere il sole e cantano i salmi. Non
lo possiamo fare. Le pareti divisorie sono atterrate, le tragedie dell’uomo sono
in casa nostra: non ce ne possiamo difendere.
La vita è così affannosa che le pagine si voltano e tutto dimentichiamo,
ma dentro di noi gli argomenti della storia fanno sedimento. I pii discorsi non
sono più possibili; il provvidenzialismo a buon mercato di altri tempi, non
regge. Tutto questo è vero. È per questo, dunque, che la nostra fede è chiamata
a diventare matura, a sopportare le proprie contraddizioni tenendole aperte,
cioè facendole parlare.
Vivere la fede allo scoperto, sui colli della storia dove passa il vento, e non
nelle celle conventuali: questo è importante, oggi. A questo riguardo siamo
nel tempo opportuno, perché nulla resiste più alla solidarietà oggettiva che la
stessa tematica rende possibile.
Da “Il mandorlo e il fuoco” vol.2 anno B

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