21 Dicembre 2014 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

21 Dicembre 2014 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

21 Dicembre 2014 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

 

Se la fede fosse un cumulo di certezze acquisite, dopo averle studiate bene, uno potrebbe presumere di avere la tavola pitagorica per tutte le operazioni di salvezza.

 

PRIMA LETTURA: 2 Sam 7, 1-5.8b-12.14a.16- SALMO 88- SECONDA LETTURA: Rm 16, 25-27- VANGELO: Lc 1, 26-38

 

…Ogni volta che nasce un bimbo, diciamo: «Dio non si è pentito». Ogni volta che nasce una vita nuova sappiamo che Dio è ancora con noi, perché la salvezza passa attraverso la vita che nasce. Essa non edifica i suoi trionfi sui cimiteri, segno della nostra fragilità, ma anche della nostra dignità al cospetto di Dio che dovrà renderci conto del perché si muore. Dio, così ci assicura la fede, non vuole la morte ma la vita; non vuole che si muoia ma che si nasca. Abbiamo un cumulo di domande provocatorie da fare al Signore! Ma intanto la nostra fede ci porta ad inchinarci sul mistero del nascere. E la nascita di Gesù è proprio la nascita dell’uomo semplice, umile, ridotto – vorrei dire – alla sua pura misura biologica. Nacque in una grotta, scacciato dalla città. Questo corpo che il Padre dette al Figlio nessuno lo volle. Nacque come un povero. La memoria cristiana ha costruito forse qualcosa di arcadico, di pastorale, che sarà anche frutto dell’immaginazione più dell’esattezza storica, ma il senso di questa ricostruzione è chiaro: l’uomo autentico, entrato nella società è l’uomo escluso, il corpo del Bambino Gesù è il corpo di Gesù sulla croce, è il relitto fuori della città. C’è un giudizio della fede su questo mondo: appena appena si vive con fedeltà la volontà del Padre, il mondo non può che rigettarci. C’è una maledizione, che prospera nelle viscere del mondo: quando è venuto il Salvatore, i suoi non l’hanno riconosciuto, dice il Vangelo di Giovanni. Questa contraddizione noi dobbiamo anche assumerla come criterio di giudizio su di noi che non sappiamo riconoscere con facilità la salvezza. Se la fede fosse un cumulo di certezze acquisite, dopo averle studiate bene, uno potrebbe presumere di avere la tavola pitagorica per tutte le operazioni di salvezza. E invece anche la salvezza ricomincia sempre da capo, esige da noi non già un sapere già consolidato ma un sentimento vissuto che si mantiene vivo solo se si misura sulle condizioni in cui la salvezza ci è apparsa, che sono condizioni di umiltà e di reiezione. Solo se io sento una passione vera, sincera per tutti coloro che sono messi fuori dall’ordine costituito, posso sperare di capire la salvezza. Solo se io vivo nel concreto, nei miei pronunciamenti e nelle mie solitarie riflessioni, il dramma dei reietti del mondo, posso percepire qualcosa di questo mistero. Fu detto a Maria: «beata te che hai creduto». Credere alla Parola che ci è stata detta è il modo di entrare nella cruna dell’ago oltre la quale si allarga l’orizzonte della salvezza. E finalmente – siamo al terzo momento, quello del profeta Michea – questa salvezza sui compie nella storia umana attraverso un metodo che è scritto nella Parola di Dio molto chiaramente: Dio non salva il mondo attraverso coloro che esercitano un potere che fa soffrire gli umili. La giustizia di Dio incombe sul mondo. Parlare di Natale non si può senza tenere presente quello che gli uomini stanno perpetrando in questa terra di Dio: questi uomini che l’aggravano di armi distruttive sono coloro contro cui Dio sta scagliando il suo giudizio. Non possiamo scherzare su queste cose perché il peccato è qui; è corposo, non è la semplice contravvenzione ai comandamenti di Dio, sminuzzata in un comportamento individualistico e intimistico. Noi siamo responsabili della terra davanti a Signore, perché Egli vuole – come dice il profeta – che sia una terra di pace. Voler la salvezza, che vuol dire? Fare i presepi nei salotti e fare le bombe nelle fabbriche? Vuol dire insieme far l’albero di Natale e appoggiare i potenti che distruggono il mondo? È la nostra paura schizofrenica di cristiani: devoti in casa e iniqui in piazza; con i poveri la domenica e con i potenti i giorni feriali. Voler la salvezza, non vuol dire entrare nei presepi delle devozioni, vuol dire prendere posizione accanto a quel «resto» di umanità di cui Dio si serve per sconfiggere i potenti.

 

Ernesto Balducci – da “Il Vangelo della pace” –

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