21 Gennaio 2024 3° Domenica t.o.

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Prima Lettura Dal libro del profeta Giona Gio 3, 1-5, 10.
Salmo Responsoriale (Sal. 24)
Seconda Lettura Dalla prima lettera ai Corinzi 1Cor7 29-31

Dal Vangelo secondo Marco Mc 1, 14-20

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Questo grido — «il tempo è breve » — ha nella nostra coscienza una strana
ripercussione. Da una parte essa ci richiama l’illusione ottica in cui vissero i primi
cristiani che ritenevano cronologicamente imminente la fine del tempo. Paolo viveva in
questa ottica apocalittica, che considerava il tempo come ormai svuotato di significati
perché un tempo nuovo stava per irrompere. Questo tempo nuovo — il tempo della
pienezza — era l’oggetto vero delle attese, delle speranze. In questo senso quel grido ci è
divenuto estraneo. Noi abbiamo del tempo e della storia una raffigurazione molto diversa,
scientificamente fondata, libera da illusioni apocalittiche. E tuttavia sentiamo che in quel

grido c’è una profonda verità: di fatto il tempo è breve, le scadenze sono fissate. Se noi
guardiamo il tempo nella sua densità, nel contenuto che lo qualifica umanamente e che
non è il succedersi degli eventi, ma è la serie delle scelte che saremo chiamati a
fare, noi sentiamo che davvero il tempo è breve.
Per poter svolgere la mia riflessione su di un tessuto logico chiaro a tutti, conviene che
ricordi come in un’analisi cristiana che coincide largamente con un’analisi razionalmente
seria, in tre diversi modi il tempo può considerarsi pieno, compiuto, come dice il
Vangelo: «il tempo è compiuto».
Intanto in senso cronologico. Per una persona il tempo si chiude quando muore, per una
istituzione quando si disfà, quando crolla, per il mondo quando si distrugge. C’è una fine
cronologica. Noi potremmo dire — ad esempio — che viviamo in una generazione che
può dire queste parole con un fondamento di probabilità: il tempo è compiuto. Se lo
domandano anche gli scienziati. Tutto è pronto perché il mondo umano chiuda la sua
storia.
Il tempo può essere compiuto anche quando si adempiono le potenzialità che erano
presenti nel passato, che miravano ad un adempimento, come un albero che prepara il
frutto. Quando il frutto è maturo, il tempo è compiuto.
Finalmente però — e questo è il significato più specificamente evangelico — il tempo si
chiude ogni volta che noi facciamo una scelta che dà senso alla nostra vita. Quando noi,
liberandoci dalle possibilità che si intrecciano come sentieri diversi dinanzi alla nostra
coscienza, scegliamo, in quel momento si chiude un tempo per la nostra vita e ne
comincia un altro. Questo è vero per certe scelte fondamentali che poi caratterizzano e
colorano di sé l’intera nostra esistenza. Ma è vero per ogni attimo. C’è come una verticale
che interseca l’orizzontale della successione: noi scegliamo, non secondo i richiami
meccanici della successione, ma secondo l’appello della verticale che incide nella nostra
coscienza. Noi liberiamo la vita dal meccanismo della ripetizione e le diamo un senso
nuovo: in quel momento il tempo è compiuto. Vorrei dire che tanto più una vita morale è
all’altezza dell’uomo, quanto più si regola secondo questo ritmo di libertà. Proviamoci ora
a riflettere, per far luce nell’orizzonte delle nostre responsabilità anche attuali, su questa
qualità del tempo come spazio della coscienza. Paolo instaura un curioso espediente
logico per segnare la situazione di esistenza di un tratto di vita e di contingenza. Dice:
«chi è sposato sia corre non lo fosse, chi piange sia come chi non piange, coloro che
godono come se non godessero, quelli che comprano come se non comprassero…».
Questo invito a staccarci dalla situazione che ci definisce «come se» ci fosse, non è un
puro invito ascetico al distacco, è modo per indicare che la condizione umana è
veramente tale quando custodisce le riserve della libertà, quale essa non si identifica con
la situazione in cui si trova. Avviene normalmente che noi ci identifichiamo a punto con
le situazioni in cui si esplica la nostra esistenza — dalla famiglia alla professione, al
lavoro, alla cultura… —- che lo spazio della nostra libertà è tutto consumato. Uno è
quello che fa! Occupa una casella nell’organigramma della storia e se si toglie di lì perde
senso, cade nella vertigine, si sente finito. Questa è nostra schiavitù, dobbiamo
riconoscerlo. Anche se abbiamo molte riserve — io ne ho molte — contro la migrazione
ascetica per la vita di questo mondo, non c’è dubbio che, al livello dell’analisi morale,
nella protesta ascetica c’è una verità.

Da “Il Vangelo della Pace” vol.2 anno B

 

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