22 Marzo 2015 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

22 Marzo 2015 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

22 Marzo 2015 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

 

Noi viviamo come se si fosse immortali. Il pensiero della morte è rifiutato come osceno. L'oscenità vera non è più nel sesso, è nella morte. Le immagini che la richiamano le abbiamo scrupolosamente cancellate.

 

PRIMA LETTURA: Ger 31,31-34- SALMO: 5O – SECONDA LETTURA: Eb 5,7-9 VANGELO: Gv 12,20-33

 

Anche per reagire ad una deformazione tradizionale della fede cristiana, noi insistiamo, per solito, nell'esaltare gli aspetti di collegamento fra la parola del Vangelo e le speranze umane, tra la vita che ci viene dal Vangelo e la vita che viviamo nelle sue mete biologiche e nelle sue espressioni terrene. Vogliamo rifiutare il pregiudizio, purtroppo fondato sulla testimonianza deviante di molti cristiani, che la fede cresca ai margini della vita, che Dio abiti, come diceva Bonhoeffer, ai margini del villaggio e non nel cuore del villaggio; che insomma nella religione cristiana si coagulino tutti gli istinti di fuga e di rifiuto di questo mondo. Vogliamo reagire contro questa menzogna perché la fede cristiana si distingue dalla religione in genere proprio perché essa fa responsabili del mondo e condanna chi ha nausea del mondo e cerca di consolare la sua nausea rifugiandosi in Dio. Come reagire a questo vizio se non riaffermando con forza che uno intanto è cristiano in quanto, dinanzi ad un mondo in disordine, se ne fa responsabile nella sua misura e con le sue forze? Per questo abbiamo detto Più volte – e una verità che ci fa gioia recuperare – che molti che nulla sanno della fede cristiana ma amano l'uomo concreto nelle contraddizioni della sua vita, sono già nel regno di Dio. Le vie della salvezza passano sempre attraverso l'amore per l'uomo, non attraverso la fuga dall'uomo. Però non possiamo eludere una verità complementare a questa a cui del resto ci introduce il clima liturgico in cui stiamo entrando. Gli aspetti della vita sono così numerosi, la vastità del fallimento è così smisurata che ci dobbiamo chiedere se, puntando totalmente, nella nostra riflessione, sui momenti positivi e di crescita, non si assecondi la menzogna su cui si è costruita la società di oggi. La società di oggi – ho avuto modo di rifletterci anche per ragioni personali – sembra costruita con lo scopo di dare spettacolo di efficienza, di felicità, di giovinezza, di salute, e tutto ciò che contraddice a questo quadro viene messo ai margini e occultato. E così non ci rendiamo conto, almeno nella nostra esperienza quotidiana, degli ambiti in cui la vita è relegata solo perché deficiente e menomata. Ci sono gli ospedali, immense città di dolore, ma non li incontriamo: per entrarci dobbiamo superare dei cancelli. Ci sono delle carceri in cui gli esseri umani vengono gettati quasi sempre perché diventino più rabbiosi contro il mondo contro cui hanno peccato (o si pensa che abbiano peccato) ma non ce ne accorgiamo. Passiamo sotto le pareti delle carceri e ignoriamo l'umanità che c'è dentro. Ci sono gli handicappati, ci sono i vecchi, ci sono i cimiteri, ma tutto questo è lontano dal nostro orizzonte. L'intenzione che tesse lo spettacolo quotidiano della mia città è funzionale alla nostra euforia. E questo arriva anche a modificare la nostra psicologia personale. Noi viviamo come se si fosse immortali. Il pensiero della morte è rifiutato come osceno. L'oscenità vera non è più nel sesso, è nella morte. Le immagini che la richiamano le abbiamo scrupolosamente cancellate. In questo potremmo cogliere anche un dato positivo della nostra natura e, al di la della nostra natura, dell'intenzione del Creatore. Noi siamo per la vita, non per la morte. Però arriviamo ad appiattire questa grande idea fondamentale del Vangelo sui dati concreti e provvisori della nostra esperienza di vita, relegando ai margini e rimovendo perfino dalle sfere della coscienza tutto ciò che ci contraddice. Ebbene, la verità che ci viene dal Vangelo l'abbiamo sentita annunciare oggi, sia pure con linguaggio paradossale, che va colto secondo lo spirito: «chi ama la sua vita la perde, e chi odia la sua vita la salva.. solo il chicco di grano che muore porta frullo»… Gesti non dice queste cose come può fare un predicatore che parla oggettivando la verità che egli presenta, ma parla di sé: egli è dinanzi alla sua morte. Lo lambisce l'ammirazione anche di un mondo lontano: alcuni greci – quindi gente estranea al suo popolo – lo vogliono vedere. E un uomo noto, ormai, la gloria lo lambisce ed egli reagisce dicendo ai suoi: E venuta l'ora della mia gloria……. ma la mia ora è quella della mia morte. La mia ora è quella della croce: quando sarò sulla croce allora attirerò tutti a me. Egli dunque non è l'uomo dei successi, colui che entusiasma le folle: anzi, quando l'entusiasmo lo tocca fugge solo, dice il Vangelo. Teme la gloria che nasce dalle oscure convergenze degli istinti di conservazione con l'intento di appropriarsi di colui che possiede ogni potere. Queste follie collettive sono del resto uno dei fenomeni più significativi del nostro tempo: l'alienazione delle folle che obiettivano in un personaggio le proprie esigenze frustrate e si trovano colmate di consolazione. Gesti rifugge da questa gloria, che è di questo mondo, è del principe di questo mondo, ed indica come luogo di un appuntamento universale con gli uomini non il suo procedere nel mondo facendo miracoli, ma il suo essere crocifisso e ucciso. Questo è il baricentro della visione che Cristo ha della storia umana, il punto d'incontro fra tutte le creature e il mistero di Dio [….]. La realtà del crocifisso non è destinata alle anime devote, è destinata alla dinamica della storia intera. Per questo io so che nel negativo abita la presenza amorosa di Dio, che dove non vedo che Getsemani e croce c'è qualcuno che attende. Quando ci troviamo impotenti di fronte ad una persona che sappiamo destinata a morire, quando il nostro amore si trova impotente di fronte all'onnipotenza opposta che è quella della morte, noi non abbiamo parole di consolazione devota da dire, abbiamo da far fronte con lacrime, gemiti e grida, come faceva Gesù, ad una morte che non vogliamo e la nostra preghiera ha quasi i toni di una bestemmia. Non è facile morire dolcemente. Se amiamo la vita abbiamo la capacità di capire quanto sia negativa la morte. E non parlo soltanto del morire fisico ma di tutto ciò che dentro la storia individuale e collettiva si svolge senza significato, distaccato dalle dinamiche creative. Tutto questo non è da cancellare, perché è il versante in cui l'amore di Dio crea la salvezza. Chiudo con una frase della lettera agli Ebrei: «Pur essendo figlio Egli imparò l'obbedienza delle cose che patì…». Per le altre cose possiamo avere maestri di ogni genere. Per la politica, la scienza, la letteratura, quanti maestri ci sono! Ma quando entriamo nell'ombra della morte non c'è nessun maestro perché tutte le voci tacciono. Allora noi impariamo, nell'obbedienza, che significhi amare Dio, obbedire alla sua volontà. Solo l'esperienza del dolore, del negativo, ci introduce nell'ascolto docile di un amore che non ha parole e concetti adatti alla piazza pubblica della storia che viviamo. In quell'ombra Qualcuno vi attende. Vorrei dirlo a me, a voi, perché quando viene l'ora – ripeto le parole del Vangelo – non ce lo dimentichiamo.

 

Ernesto Balduccii – “Ii mandorlo e il fuoco" vol 2 anno B

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