22 Settembre 2019 – XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

22 Settembre 2019 – XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

22 Settembre 2019 – XXV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

 

Uno che è ma non ha, non conta più nulla per noi. Abbiamo questo vizio strutturale, una deformazione antropologica radicata dentro di noi che ci rende da una parte, presuntuosi. Pensate al nostro atteggiamento di fronte a queste turbe di colore che vengono in mezzo a noi. In fondo un pezzente dà noia. Che sia un uomo lo si dice nelle prediche o nei trattati metafisici, ma non lo è. Abbiamo una ripugnanza profonda per l'uomo che non ha.

 

PRIMA LETTURA:  Am 8, 4-7- SALMO: 112- SECONDA LETTURA:  1 Tm 2, 1-8- VANGELO:   Lc 16, 1-13 

 

     …Noi siamo stati così mercificati mentalmente che non sappiamo più vedere le cose se non secondo il valore di merce. Il rapporto con la natura, con le cose, e intercettato, siamo mercificati per cui quest'occhio non e soltanto quello che scorre la vetrina di un supermarket, è quello che scorre su una campagna, su un orizzonte, che si posa su un albero fiorito che si posa su Dio. Anche Dio viene mercificato come garanzia dell'ordine economico esistente. L'occhio mercificato è l’occhio che domina, per cui ci è negata la purezza delle cose, un contatto vero con la realtà, perfmo il godimento delle cose è sviato perché alla cosa di natura si sostituisce la cosa artificiale. Anche il frutto a tavola è il prodotto artificiale che parte da un supporto di natura, manipolato e tradotto in affare. Così la nostra vita consumistica ci fa deperire come soggetti umani. Perfino nei nostri rapporti intersoggettivi quel che conta non è l'essere ma l'avere. Noi siamo fieri di stare con gente che ha non con gente che è. Uno che è ma non ha, non conta più nulla per noi. Abbiamo questo vizio strutturale, una deformazione antropologica radicata dentro di noi che ci rende da una parte, presuntuosi. Pensate al nostro atteggiamento di fronte a queste turbe di colore che vengono in mezzo a noi. In fondo un pezzente dà noia. Che sia un uomo lo si dice nelle prediche o nei trattati metafisici, ma non lo è. Abbiamo una ripugnanza profonda per l'uomo che non ha. Questo capita perfino dentro le famiglie, nel rapporti intersoggettivi più delicati. Ecco dove scopriamo l'effetto immanente della ricchezza iniqua: siamo disumanizzati. C'è allora una ricerca che attraversa gli spazi quotidiani del nostro vivere ed è la ricerca dei rapporti veri, veramente umani. È la ricerca di un rapporto con la natura non soggetta a questa terribile legge che ci sta distruggendo tutto. E di stamani la notizia allarmante che l'involucro di ozono è squarciato ancora di più. Questa terribile catastrofe, questa apocalisse scontata nel quotidiano, è nelle nostre responsabilità. Qui ci vuole – permettetemi il termine – una rivoluzione culturale che ci restituisca gli occhi veri: nei rapporti reciproci, nei rapporti con la natura, con le cose nel costruire i progetti della giornata, le villeggiature … La nostra salvezza potrà forse, venire dai poveri che hanno conservato, non perché più buoni di noi ma per condizione oggettiva, una innocenza, una freschezza di cui stiamo avendo bisogno. Venti-trenta anni fa credevamo di essere l'avanguardia nella carovana umana e si guardava gli arretrati dicendo: «Presto arriverete anche voi». Oggi non abbiamo più il coraggio di dirlo. «Speriamo che non arriviate anche voi!». Forse dove un tempo si stendeva il nostro paternalismo generoso sta calando il nostro sguardo ansioso di una risposta ad un modo di vivere diverso dal nostro. Forse siamo in questo crinale. Certo è un crinale che ha a che fare con ciò che abbiamo letto. Noi vorremmo finalmente ritrovare rapporti di scambio in cui la legge non sia quella della ricchezza ingiusta, ma sia quella dell'amore reciproco, della solidarietà. E un sogno antico, lo capisco, ma vi domando se sarebbe possibile vivere senza vergogna se questo sogno non fosse dentro di noi. Saremmo del tutto perduti. Ormai ce lo gridano le piante, il cielo, i frutti che portano il segno della nostra vergogna. Dobbiamo ridare concretezza a questo sogno antico – che è poi il contenuto antropologico del discorso evangelico – che ci dà garanzia che questo regno può venire purché noi scegliamo, purché ci mobilitiamo. Ecco allora i figli della luce – saremmo noi, facciamo conto che sia così almeno nei desideri – devono essere molto più abili che non i figli delle tenebre, quelli che amministrano il mondo di oggi. Questa abilità non vuol dire astuzia, vuol dire scaltrezza, competenza, impegno, attenzione. Dobbiamo non ritirarci lasciando il mondo in mano agli amministratori iniqui ma sottrarre il mondo dalle loro mani. È questo il nostro compito. Come vedete allora un discorso che rischia di appiattirsi e di esaurirsi nella dicotomia maniche a – il denaro è cattivo, la purezza è lasciarlo – si trasforma invece in un progetto certo doloroso, gravoso, fatto di dialettiche, anche personali, a volte lancinanti, ma un progetto che ha a che fare con la salvezza del mondo.

                                                                                                                                                   

  Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 3

 

 

 

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