24 Dicembre 2017 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

24 Dicembre 2017 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B

24 Dicembre 2017 – 4^ DOMENICA DI AVVENTO – Anno B    

 

Sono gli uomini messi in prigione, perché hanno amato la giustizia e la libertà, che perpetuano nella storia la presenza dolorante del Dio della salvezza e non coloro che seggono nei troni, sia del Sinedrio che del Pretorio.

 

PRIMA LETTURA:  2 Sam 7, 1-5.8b-12.14a.16- SALMO 88- SECONDA LETTURA:  Rm 16, 25-27- VANGELO:  Lc 1, 26-38

 

…La caratteristica del mistero di Dio è la universalità. Il suo disegno di salvezza riguarda tutti gli uomini, con predilezione particolare per gli uomini che sono senza privilegio, senza giustizia, cioè per i poveri nel senso biblico. Il concetto di popolo eletto, per quanto di derivazione biblica, è un concetto che falsa radicalmente la possibilità di mediare la nostra azione storica col disegno di Dio. Dio sceglie quelli che non sono scelti; Dio predilige coloro che non hanno importanza. Questo abbiamo capito nel mistero di Gesù Cristo. Il mistero di Gesù è la chiave per comprendere il mistero del Padre proprio perché in lui, che è fallito, Dio ha salvato il mondo. Noi non guarderemo i vittoriosi, i condottieri, i sapienti, gli uomini riusciti, per capire in loro i riflessi del mistero del Signore, ma piuttosto cercheremo il palpito dell'universalità che deve affermarsi nella storia del mondo, nelle tenebre del fallimento, nel gemito della prigionia, nella persecuzione. Sono i popoli perseguitati che ci parlano di Dio, non quelli che, magari con la Bibbia sotto il braccio, li perseguitano. Sono gli uomini messi in prigione, perché hanno amato la giustizia e la libertà, che perpetuano nella storia la presenza dolorante del Dio della salvezza e non coloro che seggono nei troni, sia del Sinedrio che del Pretorio. Questa è la certezza che noi non possiamo non professare alla vigilia del giorno in cui rifletteremo sulla apparizione nel mondo di un Dio per il quale il mondo non aveva posto adatto. Gesù nasce fuori della città per indicare che Dio è sempre fuori. Quando vogliamo chiuderlo nelle planimetrie religiose delle nostre costruzioni cristiane, Dio è già fuggito, non ci rimane in mano che una crisalide o un tempio vuoto. Ecco le certezze che rifioriscono in noi a contatto vivo con la profezia della Scrittura. Ebbene: il criterio con cui noi dobbiamo aprirci al disegno di Dio è quello stabilito nel dialogo fra l'angelo e Maria: per Dio niente è impossibile. Ad esempio, in questi ultimi tempi, noi ci interroghiamo molto su come possiamo creare una umanità pacifica. Sappiamo che, grosso modo, gli uomini si dividono in due grandi partiti. II primo è formato da quelli che dicono che non è possibile basare l'ordine del mondo al di fuori delle garanzie che ci vengono offerte dalle armi, delle regole a sicurezza che abbiamo ereditato dai secoli e di cui possiamo fare a meno all'improvviso. Non è possibile pace senza armi. E poi ci sono coloro che invece dicono che è possibile la pace senza le armi, anzi che se distruggiamo le armi la pace è assicurata. Due  posizioni schematizzate tra l'una e l'altra delle quali c'è infinita gradazione di sfumature. Aver fede nel disegno di Dio, se non vogliamo fare di questa fede una  pista che ci pone al di fuori delle nostre responsabilità storiche concrete, vuol dire accettare l'impossibile come unica salvezza. L'impossibile è la distruzione delle armi. Siamo messi ad un bivio tale che o accettiamo l’impossibile come programma oppure noi periremo dentro i nostri progetti, i più saggi, e i più cauti e i più collaudati dall'esperienza del passato. Io penso spesso a sta ambivalenza della situazione in cui siamo non abbracciare con fantasia la mia tesi che l'impossibile è il nostro programma, ma per proporre con serenità e pazienza e perplessità questa certezza di fede che questo momento l'impossibile è l'unica via che ci rimane. Bisogna che questa unica via che ci rimane non sia imboccata con senso di rassegnazione alla fatalità, perché nulla avviene di autenticamente umano nella storia se è fatto sotto la spinta della pura necessità; niente è umano se non è sostanziato di consapevolezza e di deliberazione della volontà umana. Noi non possiamo argomentare, per suggerire le vie della pace, partendo dalla necessità, anche se la necessità è una indicazione oggettiva di cui dobbiamo tener conto. Io penso – ed è il modo di leggere le cose che propongo alla vostra coscienza, senza nessuna sicurezza oltranzista – che in questo momento i progetti umani, come quelli di David, di Paolo e di Maria, sono messi allo sbaraglio dal mistero che Dio ci ha rivelato. Alla nostra generazione Dio ha manifestato che quanto diceva Gesù figlio suo sulla necessità di porgere l'altra guancia se siamo schiaffeggiati, sulla necessità di mettere nel fodero la spada, di rinunciare alla forza; quello che ci ha detto Gesù e che nelle generazioni precedenti è stato commentato con fatica per adattarlo alla saggezza umana, è diventato l'unica via di salvezza. Sappiamo bene, naturalmente, che quando viviamo dentro una società animata dalla violenza, occorre mettere un argine alla violenza, sappiamo bene che la dottrina della guerra giusta ha in sé un fondamento razionale su cui non si può sorridere troppo facilmente. E tuttavia alla nostra generazione – ci sono queste cadenze nei rapporti con il mistero nascosto nel silenzio di Dio – si è manifestata la volontà del Signore che si passi davvero da un mondo in cui la forza è una garanzia, ad un mondo in cui la garanzia non si ripone più sulla forza. È un tempo nuovo, in questo senso, è un tempo nuovo che non è maturato nella fantasia dei poeti o dei profeti, ma è maturato nella crescita organica della storia umana, nelle modificazioni oggettive che l'umanità ha prodotto e ha inglobato in sé fino a farne corpo del proprio corpo. In questa età si è manifestato che l'impossibile è possibile.

 

Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 2

 

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