25 Febbraio 2024 2° Domenica di Quaresima

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Prima Lettura Dal libro della Genesi Gn 22, 1-2, 9. 10-13, 15-18

Salmo Responsoriale (Sal. 115)
Seconda Lettura Dalla lettera di San Paolo apostolo ai Romani Rm 8, 31-34

 

Dal Vangelo secondo Marco Mc 9, 1-9

 

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Ci sono cose che non comprendiamo perché siamo meschini, ma ci sono cose
che non comprendiamo perché siamo coerenti con ciò che in noi è più nobile.
La morte degli innocenti è qualcosa che ci scandalizza: la teniamo in mano in
attesa che Dio ci faccia capire. Questo mistero di Dio in Gesù Cristo si
semplifica rientrando in questa legge semplice — tanto semplice che non ci
sarebbe bisogno di altre parole — e insieme profondissima che chi entra
nell’umana tribolazione per amore dei fratelli sa chi è Dio. La conoscenza di
Dio quindi non è una conoscenza che si svolge al di fuori, ma dentro questa
discesa negli inferi della condizione umana. Discendere agli inferi vuol dire
discendere nei sepolcri, non andare in qualche sceol, o in qualche inferno di
dantesca struttura, vuol dire scendere nella condizione infera. Se voi andate al
cimitero, ecco gli inferi! Dio scende nel sepolcro, scende dove scende l’uomo,
E per questo che noi dobbiamo liberarci dai moduli, che pur ci riafferrano,
come la struttura religiosa convenzionale e la struttura razionale di Dio,
per ritrovare il luogo che Dio ha stabilito come luogo di cognizione. E il luogo
in cui conosciamo anche l’uomo.
Ecco perché le due conoscenze sono una cosa sola. Quando nel linguaggio
teologico antico, un po’ solenne, e quindi di poca risonanza in noi, diciamo che
in Gesù Dio e l’uomo sono una sola persona, vogliamo dire questo:
che la condizione umana e la condizione di Dio si manifestano nello
stesso momento, nello stesso evento. I due versanti del mistero, quello del Dio
innominabile e quello dell’uomo inesplicabile, si manifestano in un solo
evento. E questa la verità della fede. Ecco perché, dopo venti secoli, siamo qui
con la stessa tenebra senza aver acquisito una ragione in più per credere, senza
averne perduta nemmeno una. Naturalmente altre difficoltà sono nate in noi,
ma esse sono difficoltà relative a questo mutamento permanente della
coscienza, stretta com’è nelle rappresentazioni del mondo. La nostra
rappresentazione del mondo è molto omogenea a questa solitudine di Gesù.
Gli antichi potevano pensare con facilità ad un’ altra dimensione dell’esistenza,
che traducevano in simboli sacri, tra i quali vivevano con più agilità che non
nella realtà del quotidiano. Per noi quel mondo di simboli sacri si è come
scomposto, si è dissolto. Come Gesù dopo la Trasfigurazione, noi siamo solo
dei poveri uomini, dei poveri cristi. Non abbiamo nemmeno voglia di chiedere
apparizioni. Ci rimane l’umano. Questo umano non è altro da Dio. E qui
dentro, in questa pietra che, se guardate bene, sfavilla il frammento d’oro.
Spaccate e trovate la scintilla che chiamiamo Dio, il mistero del Dio di
Abramo diventato però prossimo a noi, interno alla nostra esperienza umana.
Da “Il Vangelo della Pace” vol.2 anno B

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