25 Ottobre 2020–XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO-Anno A

25 Ottobre 2020–XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO-Anno A

25 Ottobre 2020–XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO-Anno A       

 

E noi ci convertiamo dagli idoli nostri nella misura in cui ascoltiamo la voce di Dio che si mescola con la voce degli oppressi. Ascoltiamola, lasciandocene contagiare, mobilitandoci perché nel nostro ambiente non sia inascoltato quel grido, entri nelle chiese, nelle cerimonie e le scomponga tutte, perché cadano gli idoli e rinasca questa fede in un Dio che è il Dio della liberazione.

 

PRIMA LETTURA:  Es 22,20-26- SALMO: 17- SECONDA LETTURA:  1 Ts 1,5c-10- VANGELO:  Mt 22,34-40

 

Noi cattolici abbiamo accumulato nella storia idolatrie incredibili. I riti recenti per l'elezione dei papi han dato l'impressione a molti di un culto in cui il Vangelo entra poco. C'entra il bisogno dell'uomo di stordirsi attraverso il fasto sacro. Ci sono celebrazioni religiose che in realtà ci esiliano dal luogo vero della vita di fede che è la coscienza. Paolo parla ai cristiani di Tessalonica dicendo: «non è necessario ormai che parli di Dio. La vostra vita parla ». È possibile dirlo di noi? È possibile sostituire alla predicazione la testimonianza vissuta, che è il vero luogo della Parola di Dio? È possibile, anzi è necessario, ma non è vero ancora. L'oscurità del futuro incombe su di noi, perché il nostro Dio non è un Dio vero, è un dio falso. Il suo luogo di verifica che è il grido degli oppressi, lo manda in frantumi. Che volete che sia per le tribù negre il dio dei bianchi colonizzatori? Muore presto, ed è bene che muoia. Che volete che sia il dio dei missionari andati sulla scia delle conquiste del Terzo Mondo? E un dio che muore, ed è bene che muoia. La misericordia di Dio ha voluto che il Dio vero rinasca là dove il grido degli oppressi si congiunge alla speranza. Questo è il luogo dove la fede ritrova, come in un crogiolo prestabilito, la propria giusta lega. E noi ci convertiamo dagli idoli nostri nella misura in cui ascoltiamo la voce di Dio che si mescola con la voce degli oppressi. Ascoltiamola, lasciandocene contagiare, mobilitandoci perché nel nostro ambiente non sia inascoltato quel grido, entri nelle chiese, nelle cerimonie e le scomponga tutte, perché cadano gli idoli e rinasca questa fede in un Dio che è il Dio della liberazione. Amare il prossimo è liberarlo. Dobbiamo liberarci dagli idoli per essere in grado di liberare l'uomo. Cosa vuol dire liberare l'uomo? Il tempo che stiamo vivendo di anno in anno –  il tempo si misura ormai, sul calendario della storia, a mesi – ci sta rivelando che, con tante strategie e ideologie escogitate per la liberazione dell’uomo, l'uomo ci è sfuggito. Ogni ideologia deve ormai domandarsi: ma l'uomo che cos'è? Si stanno vanificando gli obiettivi delle strategie di servizio all'uomo; i bisogni dell'uomo si fanno diversi da quelli già codificati. Anche un militante politico dei partiti rivoluzionari o si chiede ex novo che cosa aspetta l'uomo, oggi, o la sua rivoluzione è oppressione. Le ideologie si disciolgono con grande pericolo, perché con esse vien meno un progetto collettivo della salvezza dell'uomo. La salvezza dell'uomo non è quella che avviene nei rapporti microscopici della elemosina al povero. Date le interdipendenze della vita associata, l'uomo vive collettivamente. La risposta di liberazione deve essere anche collettiva. Ma con la crisi delle ideologie ci mancano gli strumenti di misurazione. È la crisi profonda che tutti viviamo. E siccome in questo versante storico dell'amore dell'uomo il cristiano non deve sentirsi un privilegiato, siamo tutti a terra e tutti insieme dobbiamo interrogarci su cosa l'uomo attende. L'unica via da seguire è di ammettere che l'ordine del giorno del servizio dell'uomo lo deve dettare l'uomo stesso. L‘ordine del giorno per la liberazione dei poveri lo devono dettare i poveri. Abbiamo da correggere una prospettiva che ci faceva centro di conoscenza dell'uomo, per rimetterci in ascolto dell'uomo. È fondamentale anche a livello della vita cristiana. Lo sappiamo. Si fanno movimenti per la promozione della vita senza. ascoltare coloro –  donne e uomini –  che sono minacciati nella vita o sono in tentazione contro la vita. Vogliamo le leggi, per minacciare. Non ascoltiamo, non stiamo dentro la tribolazione e quindi non siamo credibili. Le grandi parole diventano idolatria, quando si usano basandosi su una interessata ignoranza. Solo mettendoci dentro la sofferenza altrui, per le vie della partecipazione conoscitiva e della pratica quotidiana, avremo il diritto di proporre la salvezza dell'uomo. Altrimenti, Dio ci salvi dai salvatori! Dio ci liberi dai liberatori! Dio ci guardi da coloro che san già tutto! Questa umiltà del rimetterci a piedi, cioè scendere dal cavallo dell'ideologia per restare in terra, è imposta dall'ora. Perché altrimenti noi precipitiamo verso il caos. La carità cristiana va misurata con le congiunture concrete che ho cercato rapidamente di descrivere. Così vissuto, l’amore per l'uomo mette in moto un processo nel quale oggi avviene il rinnovamento della fede cioè la rimessa in questione di Dio. Le verità di fede vanno ripensate, rimesse in questione. Rimetterle in questione non vuoI. dire buttarle via; vuol dire ripensarle fuori dalle calcificazioni idolatriche in cui le abbiamo chiuse. E come vanno rimesse in questione? Attraverso la semplice. operazione culturale? Al tavolino? Nelle meditazioni sui libri? Vanno rimesse in questione misurandole con il grido degli uomini. Solo chi cerca di ascoltare e di conoscere l'uomo è in grado di comprendere il Dio vivo e vero. E, d'altra parte (questa è la certezza dei credenti) solo se noi riflettiamo costantemente sulla Parola del Dio vivo e vero, riusciamo ad avere una misura adeguata delle attese dell'uomo, il quale non vive di solo pane, perché nel grido dell'affamato c'è più della richiesta del pane. C’è innanzi tutto quella, ma c'è più che quella. Solo quando riprendo la misura dell'uomo (e di me, innanzi tutto) nella luce del Dio vivente riesco a liberarmi dal pericolo dell'idolatria ideologica, e sento che devo rispondere al bisogno che l'uomo oggi esprime, ma anche al bisogno che egli esprimerà domani. Sento cioè che la mia misura di dedizione è una misura che sorpassa –  pur innestandosi dentro a queste – le attese consapevoli del momento. Perché nell'uomo ci sono più attese dl quelle che egli conosce. C'è un di più che io devo tutelare e garantire. La fede nel Dio vero è anche tutela dell'uomo vero, dell'uomo nella totalità nascosta delle sue speranze.

 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco”- vol. 1

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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