28 0ttobre 2018 – XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B

28 0ttobre 2018 – XXX DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno B

28 0ttobre 2018 – XXX DOMENICA  TEMPO ORDINARIO – Anno B

 

Non ci sono religioni false, ci sono cammini. Il Gesù nella sua pienezza messianica in cui non era più nemmeno un ebreo, è l'uomo. Hanno importanza le nostre distinzioni culturali ed etniche ma, è inutile che ve lo dica, quando si muore non contan più. Questa uguaglianza nel negativo è importante perché è Gesù che l'ha assunta come appuntamento: «Quando sarò sollevato sulla croce attirerò tutti a me».

 

PRIMA LETTURA: Ger 31,7-9- SALMO: 125- SECONDA LETTURA: Eb '5, 1-6- VANGELO: Mc lO, 46-52

 

 

… Noi siamo stati educati a considerare la Chiesa come l'arca della salvezza: per salvarsi bisognava entrar dentro quest'arca. Abbiamo piegato – ed è un vizio quasi invincibile in tutta la storia della salvezza: il popolo ebraico a sua volta lo ha conosciuto – a ragioni di egemonia, di preminenza quello che invece era un compito di universalità. Chi ha un compito universale sa che questo è, da un punto di vista umano, una rovina, non gli è permesso di assurgere a dignità, a primato, a esser riconosciuto come insignito di chissà quale privilegio. Questo è un vizio che entra anche nel nostro quotidiano discorrere. Si dice: la fede è un gran dono, «io la ho, tu non l'hai». La fede però è anche una rovina perché uno che ce l'ha non sta tranquillo in quanto deve addossarsi il destino del mondo. Anche se è piccolo, semplice, se non ha strumenti culturali, non significa. Aver fede significa farsi carico dèl destino dell'umanità. Allora per lui le distinzioni fra bianco e negro non contan più. Se noi la mettiamo nell'ottica individualistica di cui facevo la critica agli inizi è un privilegio perché facciamo entrare nel progetto di Dio le nostre meschinità, ma se la fede ha come contenuto non la mia salvezza nell'eternità dopo la morte, ma i destini della terra intera che Dio mi ha affidato allora la fede è anche un drammatico privilegio, in quanto non possiamo più avere una vita privata, un hortus conclusus in cui coltivare la felicità terrena aspettando quella eterna. Non ci è più possibile. Quindi tutto il cristianesimo borghese, colonialistico … è veramente una infamia agli occhi di Dio e ora, grazie a Dio, anche agli occhi degli uomini. Il nostro è un compito universale. Ed ecco che in questo passo della lettera agli Ebrei, apparentemente di raffinatezza rabbinica, Gesù è sacerdote. Già questa parola, come sapete, è leggibile in codici diversi dato che la parola sacerdote richiama ad una casta. Come diceva il grande studioso delle culture indo-europee (Dumezi), i sacerdoti, i mercanti e i guerrieri fanno le tre caste della civiltà. Sarebbe una grossa iattura che Gesù appartenesse ad una casta. Gesù è sacerdote secondo Melchisedek, non secondo Aronne. Decifrando la cifra biblica questo vuol dire: Melchisedek non era del popolo ebraico, Me1chisedekera sacerdote cosmico e – ci racconta la Bibbia – Abramo, capostipite degli Ebrei, pagò una decima a lui, per dire che lo riconosceva più importante e mangiarono e bevvero insieme sul monte il pane e il vino; simboli dell'Eucarestia. Questa figura enigmatica si dischiude oggi in tutto il suo significato. Gesù non è venuto a salvare gli ebrei o i cristiani, Gesù è il Messia dell'umanità. I cammini dell'umanità vanno tutti sulla collina di Melchisedek. Non ci sono religioni false, ci sono cammini. Il Gesù nella sua pienezza messianica in cui non era più nemmeno un ebreo, è l'uomo. Hanno importanza le nostre distinzioni culturali ed etniche ma, è inutile che ve lo dica, quando si muore non contan più. Questa uguaglianza nel negativo è importante perché è Gesù che l'ha assunta come appuntamento: «Quando sarò sollevato sulla croce attirerò tutti a me». Gesù come ebreo non attira tutti a sé, è prigioniero del suo particolare. Gesù come figlio dell'uomo è il baricentro della storia. Non lo dico con trionfalismo, lo dico perché questo risponde all'attesa profonda del cuore di ogni uomo di questa terra, Egli è sacerdote secondo Melchisedek, «si è rivestito di debolezza; proprio a causa di questa anche per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo». Cioè: Egli è entrato nella debolezza umana. Questa universalità è importante, oggi lo sentiamo, perché le pareti di divisione sono cadute, non possiamo più vivere accanto gli uni agli altri. Le divisioni fra cattolici, protestanti, ortodossi, musulmani appartengono alla logica della nostra finitezza nella quale l'unità non può viversi che attraverso la rifrazione del molteplice. Noi dobbiamo tendere verso questa unità. Gli uomini sono tutti salvi. Non voglio dare una salvezza a buon mercato, dico che ciascuno, seguendo il suo viaggio, incontra nel mistero questa salvezza annunciata da Gesù Cristo e noi dobbiamo esser qui non tanto a convertir gli altri alle nostre forme di vivere, ma a stimolare gli altri perché raggiungano quello che sappiamo a priori essere il comune obiettivo. Io non devo sforzarmi perché un musulmano diventi cristiano ma perché doventi profondamente musulmano, colga la piena verità della sua scelta. Io sono certo, a priori, che questo è il cammino che ci unisce. Non dobbiamo strapparci dagli idoli gli uni degli altri. Abbiamo alle spalle una storia di guerre di religione, di scomuniche reciproche. Non possiamo tollerarle più. Ecco allora come il tema della salvezza, ricostruito non abusivamente ma sulla autenticità dei messaggio, liberato dal modello di tutte le tradizioni sovrapposte, ci apre ad una solidarietà che tocca il gemito fisico dell'uomo, per cui salvarsi vuol dire avere un pezzo di pane a mezzogiorno o essere liberato dalla malattia che lo sta rovinando. In secondo luogo farci solidali con l'umanità intera nel suo molteplice viaggio verso un punto d'arrivo che è nel mistero, anche se ai nostri occhi quel mistero si è arricchito di straordinarie trasparenze per la predicazione, la morte e la resurrezione di Gesù Cristo.

 

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol. 2

 

 

 

 

 

 

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