28 Febbraio 2021 – 2° DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

28 Febbraio 2021 – 2° DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

28 Febbraio 2021 – 2° DOMENICA DI QUARESIMA – Anno B

La fede infatti è privatissima in modo sommo, perché le sue parole non sono nemmeno dicibili agli altri, sono incomunicabili; le sue certezze stanno prima della verbalizzazione, anche della concettualizzazione; investono la totalità dell'essere di per se stesse.

 

 

PRIMA LETTURA: Gn 22,1-2.9a.10-13.15-18   SALMO: 115        SECONDA LETTURA: Rm 8,31b-34

VANGELO: Me 9,2-10

 

 

 

 

… Il vero credente vive la sua scelta come scelta di obbedienza al Dio della fede, non alle parole ereditate, nemmeno alle parole scritte. Il nostro Vangelo non è un Corano da vivere. Esso è parola morta se non diventa Parola viva per l'ascolto di fede. E l'ascolto di fede è un evento che si giustifica da se stesso, appunto perché le altre giustificazioni, quelle tratte dalla filosofia, dalla teologia, dalla tradizione, son tutte nel versante pubblico, sottoposto al mutamento storico. Esse non reggono, oggi meno che mai. Soltanto quando la fede si rifà al confronto col Dio della rivelazione, col Dio che ci parla in Gesù Cristo, trova la motivazione che regge. Per questa via ritroviamo la ragione per un impegno storico, anche quando tutte le ragioni sono finite; il nostro fervore – mutino pure le ideologie – non viene meno, perché si appoggia ad una ragione di fondo, quella di una obbedienza di fede il cui contenuto è la benedizione di tutte le genti. Di questo io sono certo, del resto sono incerto. È qui la forza straordinaria della fede. La forza, non il fanatismo che assume brandelli di tradizione o parole scritte o relitti culturali per riproporli al mondo d'oggi. La fede al contrario, assume i suoi contenuti dalla realtà dell'uomo vivente, perché in nessun altro luogo è Dio se non nell'uomo. Emblematico è l'episodio della Trasfigurazione: Pietro e gli Apostoli erano pieni di entusiasmo – ecco il momento religioso – stavano bene dinanzi ad un Dio che si rivelava con tutta la sua luce. Ma la luce si spegne e c'è Gesù solo, un uomo come gli altri, anzi avviato secondo le sue stesse parole, verso le ombre della passione e della morte. La fede non ci dà punti di riferimento nel miracolo: l'unico miracolo che le viene dato è quello della Parola di Dio che attesta la resurrezione del Cristo e la nostra resurrezione. Questa fede ridotta alla sua essenza non si chiude in sé, non accetta l'alternativa fra il pubblico e il privato. La fede infatti è privatissima in modo sommo, perché le sue parole non sono nemmeno dicibili agli altri, sono incomunicabili; le sue certezze stanno prima della verbalizzazione, anche della concettualizzazione; investono la totalità dell'esse di per se stesse. Però non sono private, perché il contenuto che promana da questa obbedienza al Dio della Rivelazione è il destino dell'uomo vivente. Per cui nessuno vive la fede piegandosi in sé. Se rompe il rapporto con il tu, la fede è già morta. Il Dio di Abramo è un Dio che affida, ad Abramo e a ogni credente, tutte le genti. Una siffatta apertura rimane puramente formale ed attende i contenuti concreti dalla storia. Ed essi arrivano di continuo. Solo che, prima di articolarsi con gli imperativi della fede i contenuti storici vanno verificati con la esperienza e con l'analisi razionale. E in questo siamo soli, come gli altri che non hanno Dio. Ci troviamo, come disse un grande credente, senza Dio davanti a Dio. Non ci si serve di Dio per risolvere i problemi via via emergenti nella società, perché Dio non è uno strumento conoscitivo. Dio è nella nube e dalla nube viene la parola. Dio non è una specie di condensato di principi da cui dedurre le risposte. Dio appartiene alle mistificazioni storiche che, come ho già detto, sono oggi attraversate da una crisi irrimediabile. Il credente vive all'interno della lotta, all'interno della comune fatica umana, senza privilegi strumentali, con l'unica forza che è quella della fede nella Parola del Signore, del Dio che parla, ed ha parlato, in Gesù Cristo e che ci certifica, nella sua morte e nella sua resurrezione, che la nostra fatica storica non è vana e che anche il nostro fallimento rientra nel suo disegno Questa è la certezza di fede riconquistata nella sua purezza originaria e nella sua permanenza. Il resto è consegnato alla follia della storia. Siamo in un tempo in cui anche i modelli del passato non ci dicono più nulla. E anche se volessimo qui rievocare i santi abituati a venerare, li vedremmo spesso muti e senza parole, perché i tempi in cui siamo non sono più loro. Ma una parola ci sorregge, ci sospinge a scendere dal monte della contemplazione nella valle della fatica umana: e questa è la Parola del Signore che si manifesta in Gesù. La Parola della fede, nella sua nudità essenziale, e l'uomo vivente oggi, accanto a me, ecco i termini di riferimento e di recupero dell'autenticità della fede. In questo senso anche noi dobbiamo sacrificare i primogeniti, dobbiamo bruciare i libri che abbiamo letto, le ideologie in cui abbiamo creduto. E quante cose invece sono dentro di noi come idoli, e non ce ne sappiamo liberare! Molte nostre disperazioni derivano dalle nostre idolatrie ostinate. Se fossimo liberi da tutto ciò che ci è più caro in questo senso e che ci vincola al mondo che passa, pieno di oscurità e di incertezze, noi ritroveremmo la limpidezza squillante della parola di fede, e daremmo agli uomini fiducia e speranza nel loro cammino verso un adempimento che noi non sappiamo spiegare. Io mi domando che significa re suscitare da morte; me lo domando anche io. Ma io so che nel Dio in cui credo la risposta è contenuta e la rivelazione ultima sarà lo svelamento di ciò che io credo nel mistero e nell'ombra, con ferma fede.

 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol.2

 

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