28 Luglio 2019 – XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

28 Luglio 2019 – XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

28 Luglio 2019 – XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

 

Da piccolo mi insegnavano di abbandonare le distrazioni all’uscio di chiesa; io esorterei a riempire la preghiera di distrazioni, cioè di riempirla della premura per il mondo intero. Come facciamo ad isolarci se accanto a noi c’è un mondo che geme, i poveri schiacciati, le vittime dell’incuria nazionale, le minacce degli orgogli collettivi, dei blocchi militari?

 

PRIMA LETTURA: Gen 18,20-21.23-32- SALMO: 37-.SECONDA LETTURA: Col 2,12-14- VANGELO: Lc 11,1-13

 

…La preghiera autentica è un rapporto col Padre. Anche la parola Padre è una parola fra le molte possibili; la nostra struttura psichica è multipolare, potremmo dire: Dio nostra madre, Dio nostro figlio, Dio sposa, sposo… Ma non dobbiamo giocare con questa angustia del nostro vocabolario: se preghiamo bene, sentiamo spesso di preferire il silenzio. La vera parola che esprime Dio è la non-parola, è il silenzio. è l’affacciarsi ai nostri limiti, oltre i quali passa il vento, l’uragano della distruzione del mondo, la finitezza delle cose. Su quell’orlo estremo è più facile alzare la preghiera al Padre o magari rimanere immobili e muti come fa l’ateo onesto che è anche lui, se onesto, un uomo di preghiera perché constata la sua finitezza e magari protesta contro l’ingiustizia dell’esistere. Quello che Gesù non tollera è la menzogna, è l’idolatria, è il sollevare al di sopra di noi i simboli della nostra grandezza, della nostra sufficienza. La preghiera «Padre Nostro» è suggerita dallo Spirito Santo. Questa è la prima garanzia e lo dico con particolare riferimento al tempo in cui siamo, in cui è così difficile – grazie a Dio – poter pregare per compartimenti stagni. Un tempo era più facile pensare alle religioni, ciascuna delle quali prega Dio a modo suo. Ma ora vedete come siamo tutti vicini! L’altro giorno leggevo la notizia che un grande filosofo del nostro tempo, già marxista, poi cristiano, ora si è fatto musulmano ed a Roma, nel mese di settembre, terrà un’assemblea di musulmani europei. Accanto a San Pietro! Siamo nella confusione estrema, grazie a Dio! Il Dio delle tribù è un Dio in crisi ed anche il nostro Dio è un Dio della tribù cristiana se non lo sappiamo pregare come Gesù ci ha insegnato. Egli è il Padre nostro, di tutti, non nostro per senso di proprietà, ma perché dal suo amore scende su di noi una predilezione, una protezione, una provvidenza che varca tutti i confini, che non ha riguardo per il cristiano ed il non cristiano ma abbraccia tutti. Ognuno ha il suo brandello di fede da difendere ma se la sua fede non lo porta a capire che il modo con cui l’ha concepita è tributario della sua finitezza, è chiuso nei confini dello spazio e del tempo mentre Dio avvolge tutte le cose, allora la sua fede è fanatismo. La preghiera è liberazione anche dalla fede. Un mistico medievale diceva: «O Dio, liberami da Dio». Noi preghiamo sul serio quando preghiamo Dio di liberarci anche dalle immagini che ci siamo fatti di Lui ed in cui ci sono – lo ripeto – sedimentati passioni e orgogli. Se sento fortemente questo bisogno di ritrovare l’universalità al di là delle nostre divisioni è perché sono vissuto in un ambiente infantile dove si bestemmiava sempre. Ebbene, è nata in me successivamente la convinzione che ci fosse più preghiera in quelle bestemmie che in tanti riti pubblici che ho visto dopo. La passione, la disperazione, lo sgomento, il senso della giustizia vilipesa… Dio avvolge tutto e quelle bestemmie che a noi fan paura, forse Dio le tramuta in qualcos’altro. Non voglio appiattire o annullare le differenze ma voglio stabilire convergenze che stanno al di là dei nostri orizzonti. Ecco perché anche per imparare a pregare bisogna disimparare, bisogna smettere, abbandonare certe forme o comunque usarle ma con il senso della loro relatività perché il nostro cuore faccia un passo più in là delle nostre parole. Dio non si attinge con i nostri concetti né con le nostre parole, la sua paternità non è nemmeno comprensibile per analogia con la nostra paternità perché Dio non regge al confronto. Sì, è vero, potrei dire, quasi utilizzando le parole di Gesù, «Nessun padre, anche se cattivo, darebbe uno scorpione al figlio» ma quanti scorpioni dà Dio! Quanto è vero che i poveri sono abbandonati! Essi invocano e nessuno risponde. Come non sentire questo scandalo? Esso è legittimo perché ha il suo supporto nella stessa analogia che il Cristo ha stabilito. Noi non vediamo affatto nel mondo i giusti premiati e gli ingiusti puniti. Tutt’altro! La paternità di Dio non è accessibile, è postulata ed è creduta. Questo è il primo punto di una riflessione che non vuol essere per niente esauriente. Il secondo punto è quello della preghiera come assunzione di responsabilità del mondo in cui viviamo. Che cosa fa Abramo? Abramo prega Dio che risparmi la città peccatrice: «Ci saranno cinquanta, quaranta, trenta, venti, dieci giusti?». Si preoccupa della città. La preghiera non è un piccolo balbettamento individuale, infantile ed egoistico con gli occhi chiusi di fronte al mondo. No! È all’opposto. Da piccolo mi insegnavano di abbandonare le distrazioni all’uscio di chiesa; io esorterei a riempire la preghiera di distrazioni, cioè di riempirla della premura per il mondo intero. Come facciamo ad isolarci se accanto a noi c’è un mondo che geme, i poveri schiacciati, le vittime dell’incuria nazionale, le minacce degli orgogli collettivi, dei blocchi militari? Ecco allora Sodoma, il pianeta terra, dove il peccato è cresciuto su se stesso fino a toccare i limiti del potenziale annientamento del mondo. Noi dobbiamo preoccuparci di questo. La preghiera che dobbiamo rivolgere a Dio è: abbi pietà di questa città in cui siamo, non dare ascolto ai potenti, non ti disturbino le loro parole, non curare le loro preghiere. Ci saranno dieci giusti nel pianeta terra? Dieci uomini che vogliono la pace, che non vogliono usare violenza verso il prossimo? Abbi pietà di questo pianeta, risparmialo, perché il nostro peccato ci sta per cadere addosso…

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi” – vol 3

 

 

 

 

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