29 Marzo 2020 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A

29 Marzo 2020 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A

29 Marzo 2020 – V  DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A 

 

Cos'è la vita? Quando diciamo questa parola nella interiorità profonda, che è anteriore allo stesso concetto, sentiamo che essa raccoglie in sé una totalità: la vita è Dio.

 

PRIMA LETTURA:Ez 37, 12-14- SALMO: 129- SECONDA LETTURA:  Rm 8, 8-11- VANGELO:  Gv 11, 1-45

 

…La vita che non ha bisogno di aggettivi è la vita di fronte alla quale ogni altra vita è pallida analogia, riflesso insufficiente. Essa è forza dello Spirito di Dio che si comunica a noi. Allora la certezza di fede del credente nasce come certezza sufficiente a se stessa; non ha argomenti su cui poggiarsi, perché anzi, dentro i confini del finito, dell’esperienza, tutto è contro questa certezza. Eppure essa  è una certezza che si impone: si annuncia e si testimonia. Allora noi comprendiamo quale sia il compito del cristiano: come cristiani non abbiamo da fare altro che lottare per la vita. Questa parola, filtrata attraverso le accezioni scientifiche e filosofiche, si frange di fronte all’immaginazione, perde ogni significato accettabile. Cos'è la vita? Quando diciamo questa parola nella interiorità profonda, che è anteriore allo stesso concetto, sentiamo che essa raccoglie in sé una totalità: la vita è Dio. Allora noi possiamo andare verso il futuro poggiandoci su questa certezza, perché essa non è consolatoria o marginale, in quanto – come ho spiegato prima – emerge da un impegno quotidiano a lottare per la vita, ad alzare tutte le pietre di tutti i sepolcri. Quest'amore indicibile per la liberazione dell'uomo, per la pace, la gioia, la fraternità è ciò che rende credibile l'ultimo annuncio. Vorrei dire, noi dovremmo parlare poco di Resurrezione perché, come disse Gesù scendendo dal Tabor, «non raccontate queste cose fino a che io non sarò risorto ». E noi dovremmo dire che queste cose non si possono  raccontare se non quando saremo nel paese che Dio ci ha preparato. C’e una specie di segreto arcano su questa verità. Però essa si spende, si paga e si rivela in una specie di solidale, indissolubile amore per la vita dell'uomo, per la liberazione che possiamo compiere perché le ossa non siano aride e le speranze non siano finite, in una specie di passione per tutta la novità che può germogliare in un mondo che sembra spesso destinato alla dissoluzione della morte, all'odio – che è l'altra faccia dell'amore – o tutto ciò che significa morte, violenza, trama contro la vita. Questa presenza, operosa, viva, inesauribile diventa l'esegesi quotidiana delle speranza immortale. La vita «eterna» (questo aggettivo glorioso congiunge il nostro destino effimero alla stessa sussistenza di Dio) noi la spieghiamo dentro i confini delle ventiquattr'ore. La rendiamo accettabile nel dialogo quotidiano. La gente capisce che c'è un segreto di cui è curiosa, vorrebbe sentirlo proclamare: ma questo è un segreto che non si può raccontare con tanta facilità. Di fronte ad una cultura, una mentalità abituata a muoversi dentro un sillabario di verifiche immediate, la parola il credente non la dice, perché non sveglia se non fastidio e curiosità perplessa di fronte a sopravvivenze « superstiziose », come dice l'uomo colto. Ma quando io questa certezza la traduco nel linguaggio del vissuto, all'interno delle maglie che ci legano agli altri uomini, allora io non chiedo che altri credano nella Resurrezione, mi basta che altri odino le pietre del sepolcro. Questo chiedo: che altri si appassionino per liberare l'oppresso. Questo chiedo, perché già questo è un aprirsi verso l'impossibile. E questo impossibile è la Resurrezione. Io l'affermo possibile perché credo nello Spirito di Dio che è potenza presso la quale niente è impossibile. La mia vita interiore non è ricerca intimistica, esplorazione dell'interiorità psicologica: è apertura verso l'impossibilità che Dio rende possibile costantemente. Allora la fede emerge come una forza storica, si traduce in grandezze di opere e diffonde consolazione. Perché tra la vita di un bambino che cresce con pienezza e splendore e limpidezza e il Paradiso che io penso c'è una profonda identità. Non possiamo imporre all'unità della vita che ci manifesta Dio, le divisioni con cui noi misuriamo il nostro tempo e i nostri desideri. La vita è una totalità: amarla, custodirla, diffonderla in tutte le sue manifestazioni è il modo di esistere da cristiani nel mondo. È difficile questo passaggio da una religione che ci rende i piuttosto funebri, quasi, direi, disposti a sfruttare le disperazioni umane per affermare la potenza di Dio, ad una religione il cui timbro, il cui stile, il cui profilo sia, all'opposto, l'amore per la vita, la benedizione sulla vita.

                                                 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 1

 

 

 

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