29 Settembre 2019 – XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

29 Settembre 2019 – XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

29 Settembre 2019 – XXVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

 

Il nostro centro di identità è l'uomo dovunque egli sia: non poniamo il centro fra di noi, per stringerci compatti come una falange: dovunque è l'uomo ivi è il nostro centro.

 

PRIMA LETTURA: Am 6,1a.4-7- SALMO: 145- SECONDA LETTURA: 1Tm 6,11-16- VANGELO: Lc 16, 19-31

 

…Quando oggi si parla della diaspora dei credenti – e la parola fa paura – in realtà non si fa che tradurre il modo di esistere del Signore che viveva in diaspora, cioè non in quadri compaginati, dentro spazi garantiti. La casa dell'uomo era la sua casa; la mensa dell'uomo, anche se peccatore, era la sua mensa. Egli non ha costruito strutture di identità, ha posto la fedeltà alla sua Parola come luogo di identità. Ma la sua Parola è proprio quella che ci spinge al di fuori di tutte le barriere che noi cerchiamo di costruire. Ed è qui che acquista forza la parabola, che tante volte abbiamo ascoltato e meditato, del Figliol prodigo. Il vero epicentro della parabola è proprio lo scandalo del figlio onesto. Non per nulla Gesù la racconta proprio nel momento in cui gli onesti farisei si scandalizzavano di Lui perché faceva festa con i peccatori. Questo scandalo, che noi conosciamo così bene, è vivo! . Il figlio laborioso era ineccepibile. Che,vizi aveva? Gli mancava qualcosa: la capacità di capire l’estensione scandalosa dell'amore. Questo, gli mancava. Gli mancava il genio dell'amore, che invece il figlio prodigo aveva scoperto dentro di sé. E così il lontano è vicino e il vicino è lontano. Cosa ci manca, a noi buoni cristiani? Questo genio dell'amore, questo godere quando gli altri, anche se nostri nemici, compiono del bene e in qualche modo ci sembrano vicini alle esigenze del Regno di Dio. Non importa se con noi o contro di noi, perché noi siamo con l'amore di Dio che è ovunque. Il nostro centro di identità è l'uomo dovunque egli sia: non poniamo il centro fra di noi, per stringerci compatti come una falange: dovunque è l'uomo ivi è il nostro centro. Questo genio dell'amore è pericoloso, lo ripeto, perché impedisce costantemente l'irrigidimento della realtà cristiana dentro strutture e compagini. Ma oggi questa dinamica mirabile la dobbiamo recuperare, perché dobbiamo ristabilire rapporti nuovi con il mondo, non rapporti confusi e sbagliati ma dettati da questa sapienza evangelica che non avrà mai fine. Passeranno le nostre teologie, le nostre istituzioni, ma questa sapienza non passerà, perché essa riconnette le esigenze profonde dell'uomo e la Parola del Signore, in modo che ciò che è umano e ciò che è divino coincidano. Il Signore più volte l'ha insegnato, soprattutto là dove – raffigurando il giudizio ultimo – Egli dice che chi ha dato un bicchiere d'acqua a un fratello lo ha dato a Lui. Questa identità non ha nemmeno bisogno della conoscenza esplicita del Cristo: Signore, io non ti ho conosciuto» «Ogni volta che hai dato un bicchiere d’acqua a un fratello lo hai dato a me». Se questa coincidenza ci turba è perché abolisce distinzioni molto comode per i nostri orgogli e le nostre presunzioni. Molto comode per pararsi dinanzi agli occhi lo splendore abbagliante della misericordia di Dio che mette all’ultimo posto gli ultimi e dà lo stesso premio agli uomini dell'ultima ora e a quelli della prima ora. Essa offende il nostro senso della giustizia, ci impedisce di mettere al centro misure e ci obbliga a far festa quando Dio fa festa. E quando Dio fa festa la fa sempre a nostro danno, a danno dei nostri interessi. Perché Dio fa festa con coloro che son perduti e che Egli ritrova. Dobbiamo abbandonare le esigenze del merito e della giustizia distributiva, a questo livello, per associarci alla festa scandalosa di Dio. Il principio è che noi dobbiamo continuamente abbandonare la presunzione di essere giudici dei nostri fratelli e giudici dell'amore di Dio; dobbiamo smobilitare continuamente la case che costruiamo con la presunzione che siano case di Dio perché Dio è fuori dalle nostre case: dobbiamo abbandonare la presunzione di ristabilire, in forme nuove e accettabili, la legge del sabato, perché Cristo ha abolito la legge del sabato. Lo sforzo deve essere costante, perché ha contenuti storici continuamente nuovi, non ci permette mai di appoggiarci su tradizioni consolidate, perché le tradizioni consolidate sono già morte e l'uomo che dobbiamo amare è l'uomo vivo, che ci obbliga ad uscire dagli spazi garantiti per afferrarci alle novità del suo appello. Con questa dinamica evangelica noi viviamo la vera fedeltà anche quando essa – e spesso è così – sembra infedeltà. Gesù è venuto per essere, apparentemente, infedele alla legge. Egli non ha osservato le leggi che mettevano il sabato prima dell'uomo, le ha trascurate volutamente e condannate. La sua fedeltà al Padre era infedeltà alla legge. Quando un cristiano si propone con serietà e non in modo pretestuoso (certo, è facile il pretesto, a questo riguardo) di essere fedele allo Spirito evangelico, non si meraviglia se il suo modo di agire è accusato di infedeltà perché per essere fedeli all'uomo e a Dio occorre essere – a volte – terribilmente infedeli a ciò che gli uomini hanno stabilito per distinguere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, il santo e il peccatore. 

 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3

 

 

/ la_parola