3 Maggio 2015 – 5^ DOMENICA DI PASQUA – Anno B

3 Maggio 2015 – 5^ DOMENICA DI PASQUA – Anno B

3 Maggio 2015 – 5^ DOMENICA DI PASQUA – Anno B

 

Il cuore di Dio circoscrive tutto, perciò ciò che mi fa effetto di estraneità non lo rifiuto, non lo rigetto, ma mi dico: «il cuore di Dio è più grande del mio».

 

PRIMA LETTURA: At 9, 26-31- SALMO:21- SECONDA LETTURA: 1 Gv 3, 18-24 VANGELO: Gv 15,1-8

 

Nel brano della vite e dei tralci che avete ascoltato, attraverso un'immagine estremamente eloquente in una cultura contadina come quella in cui Gesù visse, si vuoi esprimere questo mistero di una compresenza vitale. I primi cristiani esprimevano la loro esultanza attraverso questa immagine o con l'immagine del corpo, che usa invece Paolo. Son tutte immagini estremamente pericolose perché non riescono a salvare la reciprocità. In fondo i tralci o le membra del corpo non hanno autonomia, mentre noi abbiamo con il Cristo un rapporto personale che ci lascia in totale possesso della nostra libertà. Noi non siamo mai strumenti o puri tramiti ma siamo, al livello della dignità personale, delle libertà che fiammeggiano e si richiamano l'una con l'altra. Per questo mistero, le parole non sono sufficienti. Ma oggi le letture mi danno due spunti fondamentali per poterlo dilatare un poco alla vostra mente. Il primo è quella frase grandiosa: «Dio è più grande del nostro cuore». […] Io non devo mai dimenticare che questo centro delle coscienze è più grande della mia coscienza, è più grande della nostra coscienza, è grande più che l'universo e che perciò non posso misurare Dio con il mio cuore. Non poso misurare i disegni di Dio con il mio cuore, ma viceversa. Se io guardo le creature tutte, anche quelle che mi sembrano lontane dalle cose che sto dicendo, io so che Dio le circoscrive. Il cuore di Dio circoscrive tutto, perciò ciò che mi fa effetto di estraneità non lo rifiuto, non lo rigetto, ma mi dico: «il cuore di Dio è più grande del mio». Anche dove trovo la cosiddetta immoralità, anche dove trovo la irregolarità, che certo io non approvo in sé, mi guardo bene dal pronunciare l'ultima sentenza, in quanto tutti abitiamo in questo cuore di Dio. Anche persone che si chiamano nel vecchio e detestabile Diritto Canonico «peccatori pubblici», io mi guardo bene dal condannarli perché seno nel cuore di Dio. Il suo cuore è più grande del nostro. Io devo ricordare tutte le leggi ,devo anche dire: voi siete fuori legge. Ma dire che uno è fuori legge non vuoi dire che uno è fuori dal cuore di Dio. Purtroppo è questo che abbiamo fatto e facciamo ancora. Mi riferisco alle forme religiose le più diverse (ce ne sono tante, nel mondo): perché devo dire che la mia è la vera e le altre sono false? Perché? Forse è falso il cuore di Dio? Questa è la prima correzione. Ed è fondamentale, in quanto mi libera dal pericolo della legittimazione religiosa dell'inimicizia. L'altra questione importante è questa: come faccio io a sapere che mi trovo proprio in questo focolare delle coscienze al cui centro c'è il Dio di Gesù Cristo? L'indicazione è precisa: «amate non a parole ma nei fatti». Amare nei fatti è cosa infinitamente lontana dall'amare a parole o con i sentimenti. Nulla è più ambiguo del sentimento se non si accetta la misura della ragione e la misura dei fatti. il frutto di cui parla anche il Vangelo è il fatto. Se, ad esempio, c'è una comunità che vive tutta chiusa in intensa vita spirituale, in un quartiere dove ci sono disoccupati, drogati, senza tetto… cosa è, questa comunità, nei fatti? Il baricentro di una comunità che abbia le misure del cuore di Dio non è dentro ma fuori, dove non c'è la stessa esperienza, dove c'è la sofferenza, l'attesa, il bisogno, la tribolazione. È essenziale ricordarlo, perché altrimenti succede che assecondando questo compiacimento dell'esperienza interiore, noi potremmo camuffare, attraverso le forme dell'amore cristiano, le più terribili ingiustizie. [… ] Il messaggio che dobbiamo portare è il messaggio che scompagina le formazioni terrene perché è sospinto dal bisogno di universalità. Non saremo in pace finché non saremo, tutte le creature, una sola famiglia: Altro che comunità entusiastiche, esaltate, chiuse nel privilegio della loro esperienza! Quel che ci guida, ci sorregge e ci disturba è questa dialettica: per avere veramente una esperienza di chiesa, io devo star fuori della chiesa, devo guardarla dal di fuori, non dal di dentro. Dal di dentro sono attratto e aggregato dall'egoismo collettivo, che si moltiplica per processo di induzione nella moltitudine delle coscienze che fanno parte del gruppo. Devo star fuori del gruppo, devo essere contro il gruppo a cui appartengo per tenerlo nelle dimensioni dell'ampiezza del cuore di Dio, altrimenti mi faccio strumento del particolarismo. E così, nella misura in cui io sono fuori, in cui vivo nella diaspora, braccato come Paolo, fuori dei confini anche psicologici della comunità, io devo ricordarmi che la mia vera identità è là dove io posso, assieme ai fratelli, esprimere con gioia la stessa fede e la stessa speranza. Questa impossibilità di far coincidere due punti dislocati tra loro è la vera tribolazione morale, ma anche la nostra salvezza. Il tempo in cui siamo – il tempo delle cose, della reificazione universale – esaspera la fame e la sete del focolare. Dobbiamo rendercene conto anche a livello pedagogico. A volte trovate nel volto dei giovani tristezza e delusioni di cui non sapete l'origine. Fate un'ipotesi: che ci sia la nostalgia del focolare? Parlo per simboli. Essa deve fare i conti con l'altro bisogno, quello di una universalità talmente concreta da apparire come contestazione del gruppo, come rigetto del gruppo di appartenenza. Se non ci facciamo stranieri in casa nostra, la casa nostra diventa una prigione, diventa un fortilizio aggressivo.

 

Ernesto Balducci – "Il Vangelo della pace" voI. 2 anno B

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