30 Dicembre 2018 – SACRA FAMIGLIA – Anno C

30 Dicembre 2018 – SACRA FAMIGLIA – Anno C

30 Dicembre 2018 – SACRA FAMIGLIA – Anno C                                                                 

                          

Solo quando la coscienza si occu­pa delle «cose del Padre» è veramente se stessa, spezza i vincoli che la imprigionano, che le impedi­scono di raggiungere la profonda e feconda unità che invece raggiunge quando il suo ritmo è quello dell'universalità autentica.

 

PRIMA LETTURA:  1 Sam 1,20-22.24-28- SECONDA LETTURA:  1 Gv 3,1-2.21-24- VANGELO:  Lc 2,41-52

 

…Noi siamo presi da un bisogno profondo di eguaglianza che richiede che anche i rapporti fa­miliari si assimilino piuttosto alla logica della frater­nità che a quelli della paternità autoritaria che stabi­lisce l'unità del nucleo nell'imperio di uno solo. Questa immagine non regge, urta contro le leggi di maturazione umana che sono leggi appartenenti alla creazione di cui parlavo prima. Detto questo, io credo che l'alternativa dell'amore non implichi affatto un disprezzo della legge. È un punto su cui ogni tanto sento il bisogno di ritornare, perché l'esaltazione dell' amore e della spontaneità non appaia viziato dall'ingenuità, da quel candore che non è ammesso oggi. Le leggi possono essere es­se stesse una espressione dell'amore. Il passaggio che l'uomo, essere razionale, compie dalla spontanei­tà labile, mutevole all'organizzazione obiettiva della norma non è necessariamente un passaggio di deca­dimento. Garantire la stabilità, garantire il rispetto dei diritti interni alla comunità di amore vuol dire esser coscienti che sotto il movimento operativo dell'amore e della spontaneità deve esserci il suppor­to delle garanzie per gli altri. Il diritto non è avver­tito quando l'amore è nell' onda del suo esercizio ma poi, siccome tutto in noi è labile e mutevole, quan­do ritorna su se stesso l'amore ha bisogno del sup­porto della norma, del precetto sia morale che giuri­dico. Siccome avvertiamo la norma dell'istituzione soprattutto sotto il suo profilo di inibizione, si ri­schia di assimilare il discorso evangelico con il di­scorso meramente anarchico. La comprensione che le leggi sono espressioni di amore è una comprensio­ne necessaria. E tuttavia – ecco il punto di divari­cazione in cui la coscienza respira nella sua solitudine ma anche nella sua capacità di far comunione con tutte le creature – non c'è nessuna norma, nessuna istituzione che possa fare da orizzonte sufficiente al­la coscienza dell'uomo, perché l'uomo non appartie­ne alla famiglia, né alla città, né al popolo ma all'umanità intera. Solo quando la coscienza si occu­pa delle «cose del Padre» è veramente se stessa, spezza i vincoli che la imprigionano, che le impedi­scono di raggiungere la profonda e feconda unità che invece raggiunge quando il suo ritmo è quello dell'universalità autentica. Queste cose possiamo dircele, oggi, con maggior consapevolezza perché il tempo che viviamo – per usare un linguaggio pro­prio dalla teologia della salvezza – è un kairòs, cioè un «tempo opportuno» per scoprire cose nascoste fin dalla fondazione del mondo. Oggi un uomo autenti­co è il cittadino del mondo: pur rispettando i pro­cessi e le norme interne ai raggruppamenti umani successivi, egli supera tutte le appartenenze, per vi­vere la vita del genere umano come sua vita. Deve occuparsi delle cose del Padre. Non c'è rimprovero che possa avere la meglio su questa che oggi è – lo ripeto – la misura normale della coscienza. Altri­menti si regredisce in una forma di ottusità tribale, di antagonismo cieco, di stoltezza progressiva. Non c'è remissione: o siamo capaci di liberarci dalle chiu­sure ideologiche, nazionalistiche, partitiche, di classe per respirare col respiro dell'uomo o regrediamo im­mediatamente alla fase pre-umana. Ci furono tempi in cui la passione per la propria nazione aveva una sua adeguazione alla realtà delle cose, era sana, ma oggi essa è sicuramente regressiva e funesta per la storia del mondo. Questo discorso è importante per chi voglia vivere il Vangelo misurandolo sul suo tempo. Gesù incarna ed esemplifica l'alternativa dell'amore dentro le istituzioni. Egli è vissuto nella famiglia, però,nonostante la presentazione che ce ne ha fatto la pedagogia cristiana tradizionale, non c’è vissuto come un figlio obbediente che dà sempre ragione al padre e alla madre. L’episodio di oggi è un episodio di disobbedienza. Egli si è sottratto a quella autorità in nome di un’altra autorità, con un comportamento che secondo il codice vigente nel tempo era riprovevole. Gesù ha dissolto la sacralità della famiglia in nome della santità dell’uomo, delle «cose del Padre», cioè dell’amore per tutti gli uomini. Passando dentro la famiglia Gesù l’ha consacrata e nello stesso tempo l’ha relativizzata. Ricordate che i suoi paesani, che volevano che facesse miracoli a Nazareth, quando Egli si è rifiutato volevano ucciderlo gettandolo da una rupe. Egli ha rotto l’appartenenza al clan familiare, parentale, alla tribù. Egli va al Tempio per seguire le cerimonie previste dalla tradizione. Egli non sovverte le tradizioni però nello stesso tempo le supera e quindi le condanna al mutamento e alla scomparsa. Quel  tempio in cui va, dirà in seguito, verrà distrutto e non rimarrà pietra su pietra. L’amore entra e distrugge ma non opponendo una violenza alla violenza istituzionale ma abolendo il consenso succube che fa esistere le istituzioni ormai disumane. Le istituzioni disumane sopravvivono sul consenso delle coscienze prigioniere. Se passa uno che con l’amore le sveglia, le istituzioni possono essere scosse con un moto delle spalle! Se questa rivoluzione delle coscienze si propaga, noi possiamo, in modo definitivo, spezzare le catene antiche che ancora ci incatenano. Non basta, non è sufficiente sovvertire dal punto di vista giuridico il disordine esistente con un altro ordine  giuridico perché in fondo se le coscienze non sono mutate qualsiasi forma torna ad essere forma di schiavitù e di oppressione. Il proprio del Vangelo non è di proporre un ordine giuridico, un ordine sociale ma è di dare una permanente apertura alle coscienze perché relativizzino ciò che è storico, lo conservino nella sua funzione, possibile, di amore verso gli altri – anche le leggi hanno un principio formale che è l’amore per gli altri, è la solidarietà civica, è la garanzia per il debole, e così via – , ma poi vada oltre l’orizzonte delle leggi verso una universalità che generazione dopo generazione acquista corpo, diventa tangibile e visibile. Ogni giorno noi, se non siamo chiusi dentro i frastornamenti e le manipolazioni delle informazioni, sentiamo che la nostra famiglia, cioè l’umanità, qua e là soffre schiacciata, incatenata, torturata. Le cose del Padre sono queste. Ovunque un uomo soffre è il Padre che è sacrilegamente offeso, perché l’immagine di Dio è nel volto dell’uomo.

 

Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3

 

 

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