30 Novembre 2014 – 1^ DOMENICA D’AVVENTO – Anno B

30 Novembre 2014 – 1^ DOMENICA D’AVVENTO – Anno B

30 Novembre 2014 – 1^ DOMENICA D’AVVENTO – Anno B

Non è forse vero che anche nelle democrazie più democratiche la legge del più forte spadroneggia in assoluto più ancora che nella giungla dove almeno i ritmi naturali contenevano la ferocia umana dentro argini intangibili?

 

PRIMA LETTURA: Is 63, 16b-17.19b; 64, 2-7- SALMO: 79- SECONDA LETTURA: 1 Cor 1, 3-9- VANGELO: Mc 13, 33-37

 

Vorrei fare una riflessione introduttiva sui diversi modi con cui siamo soliti valutare il tempo che passa, gli anni che si succedon7o. C'è un primo modo che è quello della quantità: un anno succede all' altro, il tempo corre come una linea, nulla torna indietro e tutto appare davvero come vanità. Se togliamo dall'universo delle cose questa sovrastruttura della memoria umana che ordina il caos nella successione, ogni attimo è la fine dei tempi e ogni attimo è l'inizio. Nulla resta. L'azione irreparabile del tempo scandisce in noi la legge della finitezza e della provvisorietà. C'è anche un tempo qualitativo, quale vuole essere il tempo liturgico. Il ritorno ciclico delle stagioni liturgiche è un ritorno che vuole assumere la linea fuggevole del tempo dentro una struttura significativa. Non è vero che il tempo è pura successione. C'è in noi l'attesa di ciò che deve venire, e la disposizione ad accogliere un futuro ricco di doni misteriosi o di doni conosciuti. Noi viviamo partecipando alla sofferenza del mondo, avvertendo questa passione come la nobiltà tipica dell'esistere prima della morte. L'ombra della morte ci attraversa e noi dobbiamo prendere posizione di fronte all'ineluttabile destino. Nella liturgia noi imprimiamo sul tempo che fugge l'ordine e la logica e il finalismo della nostra coscienza morale e religiosa. C'è finalmente un tempo culturale, quello in cui siamo cresciuti e abbiamo acquistato dalla tradizione che ci ha preceduto forme di sapere e di condotta. Secondo questa visione, il tempo è un progressivo accumulo di valori, è un avvicinarsi lento verso traguardi significativi per tutta l'umanità. Gli anni non si succedono uguali agli anni, ma ogni anno porta un di più di giustizia, di pace, di uguaglianza; o, come si diceva un tempo – ma la parola ci si è congelata sulle labbra -, un di più di civiltà. Il dramma di questi anni è che questa terza dimensione non riusciamo più a viverla. «Le magnifiche sorti e progressive» dell'umanità sono una fola, un mito da cui ci stiamo distaccando. «Le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento»; hanno portato via i nostri ideali, le grandi conquiste del passato, gli approdi irreversibili delle grandi rivoluzioni dell'umanità. Dove sono queste conquiste? Dov' è la libertà per cui si son fatte tante rivoluzioni in questi secoli e i cui contenuti sono sanciti dalle costituzioni? Qual è il paese dove la libertà è un bene sicuro anche per i meno dotati e per i più poveri? Non è forse vero che anche nelle democrazie più democratiche la legge del più forte spadroneggia in assoluto più ancora che nella giungla dove almeno i ritmi naturali contenevano la ferocia umana dentro argini intangibili? E là dove si sono fatte rivoluzioni per la giustizia, ditemi voi dov'è la giustizia? Essa è pagata amaramente, se pur c'è. E così noi ci troviamo in una situazione intollerabile in cui tutte le nostre ricchezze, quelle che creiamo sfruttando le energie della natura, trovano corpo e forma nell'arma distruttiva. Abbiamo un patrimonio, calcolato in denaro, di armi, incredibile: basterebbe spenderne una piccola percentuale per risolvere tutti i mali del mondo. Ditemi voi se i nostri atti di giustizia non siamo ormai divenuti immondi.[…] Forse domani la nostra iniquità ci porterà via come un vento. Tutto è pronto. La forza d'urto di una bomba è come il vento, porta via tutto: il Cupolone, il campanile di Giotto, … È la nostra iniquità che cresce su se stessa col nostro contributo, con la nostra complicità, con il nostro silenzio o quanto meno con la nostra inerzia. Ecco perché dobbiamo vigilare. L'anno che comincia è già grazia, è lo spazio, forse immeritato, – potrebbe essere l'ultimo – per le nostre scelte.

 

Ernesto Balducci – da:”Il Vangelo della pace” – Vol. 2

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