30 Ottobre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

30 Ottobre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

30 Ottobre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

 

PRIMA LETTURA: Sap 11,22-12,2     SALMO:144, 1-2; 8-9; 10-11; 13cd-14     SECONDA LETTURA: 2Ts 1,11-2,2

 VANGELO: Lc 19,1-10

 

…Sembrerebbe, il nostro tempo, un grande inno alla vita ed è un tempo di morte, un tempo in cui la vita viene, per cosi dire, continuamente ridotta ai suoi presupposti carnali, in cui lo slancio creativo e disinteressato dello spirito è manomesso dalle intenzioni strumentali del potere. È un’enorme epopea di morte, il nostro tempo. Lottare per la salvezza vuol dire contrapporsi a tutto questo. Ed eccoci al Vangelo di oggi. L’incontro con Zaccheo è di una straordinaria ricchezza di luce. Zaccheo era un emarginato perché era un potente che soffocava e sfruttava i deboli. Egli era un «peccatore pubblico». In fondo l’appellativo gli competeva: era un ricco che faceva gli affari dei dominatori romani riscuotendo le tasse. Quindi il fatto che il popolo d’Israele lo tenesse ai margini, lo guardasse di malocchio non era ingiusto: la sua ricchezza era un emblema della morte. Egli sfruttava – lo riconosce dopo – i deboli. Rubava. Il suo mestiere era la frode legalizzata (come lo è sempre la frode quando diventa fatto sociale). Era la morte. Noi sappiamo oggi – per la cognizione più profonda che abbiamo dei meccanismi economici – Com’è vero che lo sfruttamento economico porta la morte. Spegne la vita, brutalizza l’uomo, lo riduce a cosa. Siamo più coscienti, oggi, di questo terribile potere del denaro, di «Mammona d’iniquità» come lo chiama il Signore. Gesù dice a Zaccheo: «Oggi verrò ad alloggiare in casa tua ». È l’amore che entra, che occupa gli spazi dell’egoismo costituito; è la parola scandalosa del Signore che spezza le discriminazioni della Legge. Perché, sì, è vero, Zaccheo era un peccatore, ma il popolo che lo emarginava era anch’esso nel peccato, perché rispondeva con l’odio, con la segregazione assoluta, con la discriminazione morale. Sappiamo quanto i Farisei distinguessero con sottigliezza i puri e gl’impuri: e i pagani erano impuri, i peccatori che violavano la legge erano da tener lontani, i lebbrosi erano da tener lontani. Gesù scavalca tutte le discriminazioni: perdona l’adultera, mangia con i farisei, con i peccatori. Non distingue: ama l’uomo, vede l’uomo al di là delle barriere create dalla realtà storica d’Israele. E non c’è via, di redenzione se non quella. Ecco un principio importante anche per noi. Non che le distinzioni non debbano esser fatte quando esse corrispondono alla realtà, ma al disopra di tutte le distinzioni deve emergere l’uomo in quanto è capace di spezzare le barriere in virtù dell’amore. Un amore operoso, che aggredisce le strutture anche ai livelli dove esse si costruiscono, che lotta dunque con strumenti economici contro le istituzioni economiche, con strumenti politici contro le istituzioni politiche, ma emergendo in nome della fede nell’uomo, della sua redimibilità, della sua capacità di liberarsi dalla prigione in cui lo chiude il peccato. Un amore del genere scandalizza gli altri, soprattutto i buoni credenti, i quali fanno anche della fede un criterio di discriminazione. Ecco perché Gesù fu condannato a morte. La morte si vendicò di Lui, che l’aggrediva nelle sue immense manifestazioni schiacciandole. Ma proprio perché Egli morì con amore. Anche la morte Egli affrontò con l’amore. Egli vinse la morte. È l’insegnamento globale della vita del Signore. E la risposta di Zaccheo è molto importante considerarla in questa luce. Zaccheo non ha ricevuto nessuna predica da Gesù: ha semplicemente accolto un invito. Perciò la sua risposta non è la risposta di chi crede alla parola di Cristo! La sua non è una professione di fede in senso totale. Ma egli capisce che significa la salvezza che arriva. Gesù dice: «Oggi la salvezza è giunta in questa casa ». Non dice: «L’anima di Zaccheo è salvata, andrà in Paradiso, si salverà » ma « oggi la salvezza è arrivata ». Perché la salvezza ha un suo mordente immediato col reale, si realizza nel momento in cui prevale l’amore sull’odio, in cui l’uomo, che è strumento ed artefice d’egoismo, spezza questa prigionia e si mette a disposizione totale dell’amore. E Zaccheo come risponde? Non dice: «Signore, Tu sei il Messia» dice: «La metà dei miei beni la do ai poveri e, se ho commesso frode ai danni di qualcuno, restituisco il quadruplo». La sua confessione di fede è misurata alla sua prigionia (egli è uno sfruttatore) e convertirsi per lui non vuoI dire proclamare con la lingua: «Amo il Signore, voglio bene a Dio» come fanno tante anime pie che, lasciando intatte le strutture del male di cui sono responsabili, si fanno molto religiose e larghe di offerte alla chiesa. Occorre porre sotto giudizio la propria condizione umana, esaminare la propria complicità col male e con le opere di morte (in questo caso con l’opera del denaro e della ricchezza), giudicarsi di fronte a Dio, e cambiare. Allora si riconosce l’opera dell’amore. Allora la salvezza arriva. Il che vuol dire, per concludere, che se noi viviamo con vero spirito di fede, la certezza che il nostro Dio è il Dio della vita, e se per questo spirito di fede lottiamo contro tutto ciò che nel mondo significa morte e strumento di morte, convertirci vuoI dire compiere una decisione contraria a tale opera di morte. Ma sul serio, non solo interiore, psicologica o etica, ma visibile. sociale .. La conversione coinvolge lo stesso mondo di cui siamo corresponsabili. E dobbiamo giudicare questo mondo e dissociarci dalle opere di morte. Allora la conversione è reale. E se oggi abbiamo, di sicuro per opera dello Spirito, una comprensione più profonda, più larga. del significato del peccato e della salvezza, allora dobbiamo essere annunciatori e testimoni di salvezza, in modo nuovo non scivolando sulle ingiustizie, passando sopra le strutture, ma mettendole sotto giudizio e, per quanto ci riguarda, dissociandoci dalle loro opere di morte. Solo chi fa così, e non chi dice «Signore, Signore», accoglie in sé il dono della salvezza.

 

Ernesto Balducci – da; “Il mandorlo e il fuoco” – vol. 3

 

 

 

/ la_parola