31 Maggio 2015 –SANTISSIMA TRINITA’– Anno B

31 Maggio 2015 –SANTISSIMA TRINITA’– Anno B

31 Maggio 2015 –SANTISSIMA TRINITA’– Anno B

 

La verità del passato morto si illumina nella proiezione di un interrogativo che lo ricostruisce secondo la straordinaria esperienza del presente.

 

PRIMA LETTURA: Dt 4, 32-34. 39-40- SALMO: 32- SECONDA LETTURA: Rm 8, 14-17- VANGELO: Mt 28, 16-20

 

Per avviare la riflessione di oggi usiamo il brano del Deuteronomio in cui Mosè invita il suo popolo a ricordarsi delle grandi opere che Dio ha fatto per lui. Da questo ricordo il popolo doveva trarre riconoscenza, motivo di fedeltà ai comandamenti. La caratteristica della fede secondo l'insegnamento biblico è che essa si fonda più che sull'intelligenza che specula, sulla memoria che rievoca. E d'altronde l'unico modo per tutelare la nostra fede dalle posizioni astratte in cui si congela e diventa sterile, è anche per noi di ripercorrere le grandezze di Dio con la memoria. Solo che la nostra condizione è estremamente diversa; non possiamo facilmente esortare noi e gli altri alla fede solo invitando a ricordo, perché il nostro ricordo ovunque si posi, è quasi sempre un ricordo impaurito. Non abbiamo gesta grandi da raccontare. Se davvero la fede dovesse reggersi sulla memoria, avremmo molti motivi per dubitare. Ci dà conforto il fatto, come dice il Vangelo, che dinanzi a Gesù in Galilea, i discepoli lo adorano ma alcuni dubitano. Il dubbio è ospite legittimo, dentro la fede, è come l'altra faccia della fede; è l'interrogativo a cui la fede risponde per rinascere costantemente. In dubbio di cui ora parlo non è il dubbio dell'egoismo, della grettezza interiore; è generato dalla consapevolezza del passato. Non si tratta di una consapevolezza apologetica come quelle che si vuol costruire spesso nelle scuole, secondo criteri nazionalistici e clericali, per cui del passato si ricorda solo ciò che giova alle nostre certezze e si dimentica il resto. Se aderisce onestamente ai fatti la memoria è ambivalente. Avremmo motivi, a volte, per dubitare di Dio. Così mi veniva fatto di pensare nei giorni scorsi quando un'immensa moltitudine è accorsa nei campi di Auschwitz. Quel luogo era anche il segno dell'assenza di Dio; uno poteva anche domandassi come possa ancora essere invocato come padre quel Dio che ha permesso un genocidio dimensioni così spaventose. La memoria, se è obiettiva, è motivo di perplessità, quanto meno. Noi ci troviamo oggi in una condizione difficile perché non possiamo ricordare il passato dell'uomo secondo le dimensioni accomodate della storia sacra. Le vicende umane non sono da ricondursi alle origini fissate dalla cronologia biblica, perché la scienza ci costringe a spostare l'origine dell'uomo a milioni di anni fa. Difficilmente possiamo collocare l'epopea della specie umana sotto l'arco della divina paternità. Le prospettive che la scienza ci obbliga ad avere non si confanno con la facile fede. E anche se noi parliamo dell'uomo sulla terra non possiamo più parlarne con l'enfasi di chi lo vedeva al centro del mondo. Come sappiamo l'uomo è disperso in un pianeta disperso in una galassia dispersa. E la vita che l'uomo ha in sé quale sintesi di lunghi processi è come un episodio improbabile e fragile in un universo che ci appare senza vita. La nostra mente, nell'età adulta che deve avere – l'età infantile, ingenua oggi diventa patologica e pericolosa – si trova come nell'impossibilità di costruire la fede con dati obiettivi. Ecco la nostra prova. Una prova nuova a cui dobbiamo far fronte con coraggio perché – ecco il punto di superamento dello stato di crisi – perché la fede che noi proponiamo, che noi proclamiamo, che noi dobbiamo vivere nasce da una certificazione interiore che viene dallo Spirito Santo, la persona della Trinità direttamente impegnata nell'evento straordinario della fede. Anche nella nostra vita personale, se noi ricordiamo il passato avendo negli occhi della memoria una luce di amore, riusciamo a scorgere il fiore tra le macerie: quel fiore è più importante delle macerie. La verità del passato morto si illumina nella proiezione di un interrogativo che lo ricostruisce secondo la straordinaria esperienza del presente. Se io ripenso al passato secondo la mia fede trovo motivi di glorificare Dio. Non si tratta di prove oggettive da pubblicare in piazza, ma di una verità assoluta, quella che l'amore narra a se stesso. Posso narrare la gloria di Dio nei fatti del passato, ma non come chi polemizza col non credente portando prove in mano, ma come chi parla a se stesso delle meraviglie conosciute solo dall'amore. Ciascuno, credo, anche a livello umano, può sperimentare la diversa prospettiva tra una ricostruzione puramente positiva e obiettiva del passato e una ricostruzione obiettiva ma selettiva; la potenza selezione dell'amore che isola i fatti su cui si è scandita la propria storia Lo Spirito di Dio che è in noi ci certifica che c'è una paternità di cui non abbiamo prove da opporre ai non credenti, ma abbiamo l'esperienza da far irradiare attorno a noi. Il Vangelo ci da la consegna non di una predicazione dottrinale come potrebbe essere quella di una scuola filosofica, ma di testimonianza vissuta Non basta un milione di sillogismi per dimostrare che uno è innamorato: soltanto l'esperienza dà prova e certezza Cosi per quanto riguarda la fede non ci sono certezze che non vengano dall'intima certificazione dello Spirito. È’ nello Spirito di Dio che io invoco Dio come Padre. Non sono salito a Lui sugli scalini fragili della memoria, ma sono salito a Lui nell'immediatezza dell'intuizione di amore che mi viene dallo Spirito. È nello Spirito di Dio che io vi parlo della paternità di Dio, e ne parlo tenendo sotto i miei occhi il panorama umano nella sua interezza, dove ci sono inverni e primavere, morti e nascite, dove ci sono vittorie della libertà e della giustizia e paurosi trionfi dell'oppressione e dello sfruttamento. Questa paternità di Dio mi obbliga a non dimenticare ciò che la mia memoria quasi respinge da sé, ma ad accogliere anche l'ombra della crocifissione che si espande nel panorama storico caratterizzandolo in modo dominante. Io dico a Dio «padre» dopo la croce dove il Figlio suo mori vittima della prepotenza e lo invocò senza che Dio si facesse vivo. La sua non è una paternità di comodo, sentimentale, da rimettere alle analisi psicanalitiche del complesso del padre, ecc. È una paternità senza nome, per così dire. La nostra storia per remota che sia l'origine, per insignificante che possa apparire nella vastità dell'universo fisico è contenuta in un segno di amore che noi chiamiamo l'amore del Padre. Questa è una certezza che viene dallo Spirito del Signore e dobbiamo anche viverla secondo lo Spirito…

 

Ernesto Balducci – "I1 mandorlo e il fuoco "vol. 2- anno B

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