6 Aprile 2014 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A

6 Aprile 2014 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A

6 Aprile 2014 – V DOMENICA DI QUARESIMA – Anno A

 

La vita che non ha bisogno di aggettivi è la vita di fronte alla quale ogni altra vita è pallida analogia, riflesso insufficiente. Essa è la forza dello Spirito di Dio che si comunica a noi.

 

PRIMA LETTURA: Ez 37, 12-14 – SALMO: 129- SECONDA LETTURA: Rm 8, 8-11 – VANGELO: Gv 11, 1-45

 

…Accettare la vita come un dato di per sé ovvio, non degno di stupore, significa già essere entrati nella normalizzazione della coscienza. La coscienza si normalizza, parte dai dati, non va prima. E già in questo c’è una specie di predisposizione a considerare la morte come la normale chiusura della parabola. Tutto torna. Ma in realtà, la vita, se noi la osserviamo in questa sua globale contingenza, si sostiene su un’opera in sé inesplicabile, che nel linguaggio cristiano chiamiamo «opera dello Spirito». È lo Spirito che ha dato la vita, è lo Spirito che dall’abisso ha fatto emergere l’ordine e la vita. Per la creazione – avendola alle spalle – noi non abbiamo più stupore a disposizione. Nasce un bambino? Nasce un bambino, è ovvio. Lo stupore per la creazione è morto in noi. Allora, di fronte alla promessa della Resurrezione diciamo: «Ma come è possibile questo?». La possibilità si misura sullo Spirito di Dio, presso il quale niente è impossibile. «Credi in questo?» disse Gesù a Marta. Ecco il dialogo estremo, il centro focale di ogni nostra riflessione di credenti. «Credi in questo?». Non è mica frequente che i credenti e i frequentatori delle chiese siano interpellati sulla Resurrezione. Per lo più essi vanno verso il futuro con le risorse immaginative di cui la natura è ricca. Essi immaginano un paradiso proiettandovi tutto l’insieme dei desideri inappagati: se lo fabbricano (e i predicatori aiutano all’opera) in modo che sia una consolazione che si sorregge sull’assenza di spirito critico e sulla mancanza di confronto diretto con le contraddittorie parole che vengono dalla Scrittura. La quale, notate, mentre ci parla della vita non ce ne dà la descrizione. La vita che non ha bisogno di aggettivi è la vita di fronte alla quale ogni altra vita è pallida analogia, riflesso insufficiente. Essa è la forza dello Spirito di Dio che si comunica a noi. Allora la certezza della fede del credente nasce come certezza sufficiente a se stessa; non ha argomenti su cui appoggiarsi, perché anzi, dentro i confini del finito, dell’esperienza, tutto è contro questa certezza. Eppure essa è una certezza che si impone: si annuncia e si testimonia. Allora noi comprendiamo quale sia il compito del cristiano: come cristiani non abbiamo da fare altro che lottare per la vita. Questa parola, filtrata attraverso le accezioni scientifiche e filosofiche, si frange di fronte all’immaginazione, perde ogni significato accettabile. Cos’è la vita? Quando diciamo questa parola nella interiorità profonda, che è anteriore allo stesso concetto, sentiamo che essa raccoglie in sé una totalità: la vita è Dio. Allora noi possiamo andare verso il futuro poggiandoci su questa certezza, perché essa non è consolatoria o marginale, in quanto – come ho spiegato prima – emerge da un impegno quotidiano a lottare per la vita, ad alzare tutte le pietre di tutti i sepolcri. Quest’amore indicibile per la liberazione dell’uomo, per la pace, la gioia, la fraternità è ciò che rende credibile l’ultimo annuncio. Vorrei dire, noi dovremmo parlare poco di Resurrezione perché, come disse Gesù scendendo dal Tabor, «non raccontate queste cose fino a che io non sarò risorto». E noi dobbiamo dire che queste cose non si possono raccontare se non quando saremo nel paese che Dio ci ha preparato. C’è una specie di segreto arcano su questa verità. Però essa si spende, si paga e si rivela in una specie di solidale, indissolubile amore per la vita dell’uomo, per la liberazione che possiamo compiere perché le ossa non siano aride e le speranze non siano finite, in una specie di passione per tutta la novità che può germogliare in un mondo che sembra spesso destinato alla dissoluzione della morte, all’odio – che è l’altra faccia dell’amore – o tutto ciò che significa morte, violenza, trama contro la vita…

 

Ernesto Balducci – da: “Il mandorlo e il fuoco” – Vol. 1 – Anno A

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