6 Gennaio 2015 – EPIFANIA DEL SIGNORE – Anno B

6 Gennaio 2015 – EPIFANIA DEL SIGNORE – Anno B

6 Gennaio 2015 – EPIFANIA DEL SIGNORE – Anno B

 

In questa mescolanza etnica a culturale che caratterizza il nostro tempo, in questo crollo, anno dopo anno, di tutti gli steccati della sicurezza col quale le angustie che si presumevano universali vengono smascherati, noi abbiamo il diverso e il lontano accanto a noi.

 

…Noi abbiamo percorso i sentieri del mondo con la sicurezza di dover portare qualcosa, di qui la nostra cecità. Avevamo alle spalle Erode , che invece ha la sua universalità. Erode è il potere! Ma l’universalità di Erode si estende attraverso lo sterminio. Avendo avuto sentore di una regalità diversa dalla sua, Erode provvide e provvide con lo sterminio. Lo conosciamo, questo metodo. Abbiamo vissuto e viviamo guerre, nel Terzo mondo, in cui l’occidente ha compiuto e compie stermini con la pretesa di difendere la civiltà, di portare la giustizia e la libertà. La cecità di Erode ha sempre con sé gli Scribi che consultano i libri e trovano giustificazioni. Il viaggio dei Magi, di questi uomini esotici, non collocabili nemmeno geograficamente in un luogo preciso, che seguono una stella, quindi compiono un viaggio senza altra indicazione che quella delle tradizioni astrologiche, e arrivano a riconoscere in Gesù il Salvatore, questo viaggio ci mostra come la salvezza viene da lontano. Il vero luogo in cui noi dobbiamo abitare è la frontiera che ci mette a contatto col diverso. Non c’è bisogno di pensare solo a lontananze geografiche. In questa mescolanza etnica a culturale che caratterizza il nostro tempo, in questo crollo, anno dopo anno, di tutti gli steccati della sicurezza col quale le angustie che si presumevano universali vengono smascherati, noi abbiamo il diverso e il lontano accanto a noi. Un tempo le nostre consuetudini di colloquio e di incontro avvenivano all’interno di una certa omogeneità d’intenti politici, culturali e religiosi ma oggi siamo allo sbaraglio, nessuno ci tutela più, cadono le divise, siamo indifesi, non abbiamo scomuniche in mano, nessuno prende sul serio le nostre affermazioni dogmatiche, le nostre certezze devono passare con grande tribolazione attraverso la modestia del dialogo, attraverso il confronto, senza pregiudiziali di verità da parte di nessuno. È una condizione antropologica molto nuova. Le stesse nostre liturgie sono vecchie, anche nei momenti più belli. Là dove proclamiamo che tutta la terra esulta per il Natale ci dimentichiamo che per i due terzi del mondo il Natale non è niente. Noi utilizziamo, anche nella liturgia, un linguaggio universalistico a cui non fa riscontro niente nei fatti. Dovremmo liberarci anche da queste forme liturgiche, per essere a livello dell’uomo. La condizione nuova a cui si è chiamati, che implica un ripensamento del messaggio, è che noi siamo per natura abitatori di frontiera. Il nostro luogo è la frontiera; non il tepore domestico delle tradizioni intatte che ci avvolgono con le loro garanzie. Non ci sono più, queste cose. Anche chi vive in famiglia e siede alla stessa tavole dei figli, del marito e della moglie sa che in casa ci sono «altri». L’omogeneità insomma è finita. Questa improvvisa frattura dell’omogeneità rassicurante ci pone non solo in condizioni di difficoltà, ma anche in condizioni di crescita, perché ci costringe a trovare una universalità che non passa attraverso il dominio, attraverso l’occupazione autoritaria delle coscienze, come faceva il vecchio padre di famiglia che venuta, la domenica, l’ora della messa portava tutti in chiesa senza proteste. L’autorità trasmetteva, ora non trasmette più. Ed è bene che sia così perché alla fine l’unica istanza che merita riverenza e che risolve in modo umano le situazioni è la coscienza. Viviamo in frontiera. Si tratta di essere a contatto col mondo islamico, col mondo buddista, con le religioni etniche o a contatto col figlio che si ribella, che ha altre idee. ha fatto altre scelte, o a contatto con gli amici che si trovano lontani dalle nostre convinzioni noi viviamo in frontiera. L’idea che mi pare meriti un approfondimento è che gli altri sono soltanto persone da rispettare in nome della coscienza, non sono persone da ascoltare in nome della rivelazione, perché la verità di Dio viene da tutte le latitudini. Anche quando diciamo che la nostra è la vera religione dovremmo stare attenti. Che cosa sono le religioni? E in me, che vi parlo in questo momento, che cosa appartiene a una religione particolare e che cosa appartiene alla fede universale? La religione che io vivo è particolare, i riti che compio, lo stesso vino che stiamo per consumare sono prodotti in una cultura – anche in senso agricolo – particolare. Ci sono continenti in cui non si conosce né il pane né il vino. Io sono chiuso dentro una religione eppure la mia fede la scavalca. Anzi la mia fede vuole che muoia la religione. La religione è chiusura, è dogmatismo, è sicurezza: che essa muoia. La fede trova se stessa nella caduta di Gerusalemme non nel suo trionfo, nella caduta del tempio non nella sua stabilità…

 

Ernesto Balducci – “Il Vangelo della pace”

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