6 Marzo 2016 – IV DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

6 Marzo 2016 – IV DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

6 Marzo 2016 – IV DOMENICA DI QUARESIMA – Anno C

 

Non basta volerci bene, andare a mangiare con i peccatori e ritornare a casa; non basta fare del Vangelo la norma di uno strano galateo di comportamento: questa è ipocrisia.

 

PRIMA LETTURA: Gs 5,9-12- SALMO: 33- SECONDA LETTURA: 2 Cor 5,17-21- VANGELO: Lc 15,1-3.11-32

 

…Il cuore di Dio manda benedizioni sugli onesti e sui disonesti, manda la sua pioggia sul campo dei giusti e degli ingiusti, e ha una preferenza – non di tipo valutativo, ma come espressione dell’amore – per la pecora smarrita, per lo scartato, perché è lì che si annida la possibilità di ricostruire un mondo secondo le misure dell’amore. E contro questo progetto dell’amore, l’onestà è una terribile barriera. Allora, convertirsi non vuol dire diventare figli prodighi: vuol dire superare l’antitesi fra onestà e disonestà, tra virtù e peccato, in un altro valore – che è quello dell’amore – in cui anche chi fosse (io mi auguro che lo siamo tutti) onesto, però alla fine supera la propria onestà, la sente come un prodotto fortunato, non la conta come un merito, e riesce a capir anche il senso positivo dello smarrimento del prodigo, in cui egli ritrova la misura di esistenza che la sua onestà gli aveva intercettato. Saper capire colui che è smarrito, senza dire che non è smarrito, cioè senza abbandonare i criteri della virtù e del vizio – altrimenti entriamo in una nebbia in cui il Vangelo si capovolge nel suo opposto – ecco quanto ci viene insegnato. Dobbiamo ricercare in coloro che sono smarriti, un giudizio sulla nostra onestà, una misura che ce ne riveli la particolarità, il carattere farisaico, e non perché noi ci convertiamo al loro modo di esistere, ma perché noi possiamo muoverci dentro un’altra misura della convivenza umana, basata sulla riconciliazione, Il che vuol dire poi creare presupposti di altra natura. Vi ho detto in partenza – e questo riferimento vi basti per evitare uno sviluppo che mi prenderebbe troppo tempo – che noi viviamo in un mondo in cui le strutture stesse sono portatrici di inimicizia. Non basta volerci bene, andare a mangiare con i peccatori e ritornare a casa; non basta fare del Vangelo la norma di uno strano galateo di comportamento: questa è ipocrisia. Occorre eliminare le barriere nate dall’inimicizia. C’è un presupposto politico, nel mio discorso, che lascio come presupposto. Perché anche nell’ipotesi – e Dio voglia che si avveri – di una società in cui il privilegio sia, per legge, bandito, non è che essa sia una società riconciliata: potremmo essere egalitari e nemici l’un l’altro. C’è una uguaglianza coatta in cui il cuore non respira più; in cui le diversità ricchissime della natura non hanno più tempo di fiorire: faremmo davvero l’uguaglianza da caserma. C’è un piatto materialismo che ha una prospettiva del genere. Ma noi diamo alla politica quel che è della politica, e all’ideale di giustizia quel che è dell’ideale di giustizia, senza dimenticarci del profondo senso del destino dell’uomo.

 

Ernesto Balducci: da “Il Vangelo della pace” vol 3 – anno C

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