6 novembre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

6 novembre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

6 novembre 2022 – XXXI  DOMENICA TEMPO ORDINARIO – Anno C

Tutte le creature sono figlie della resurrezione. Coloro che hanno avuto la parola della speranza, hanno il compito di proclamarla, di diffonderla ma senza l’aggressività di chi porta una verità perché la nostra non è una verità dicibile, non è trasmissibile, è da professare. La sua validità si deve sperimentare nella concreta maniera di affrontare la vita che viviamo

 

PRIMA LETTURA: 2Mac 7,1-2.9-14- SALMO: 16- SECONDA LETTURA: 2Ts 2,16-3,5- VANGELO: Lc 20,27-38

 

…Spesso la fede ha il compito di preservare un angolo consolatorio in un mondo insopportabile. Noi dobbiamo combattere contro questa funzione di sostegno, perché o la fede è per la vita o non serve. O la fede è una ragione che dà senso alla nostra milizia totale, oppure essa è semplicemente una escrescenza sopravvissuta nel processo evolutivo. Questo è il discorso essenziale. Allora, io vivo nel silenzio dinanzi agli eventi ultimi, non già rimuovendoli ma mantenendo alla verità la sua dimensione. Se uno mi chiede di parlare dell’ aldilà, io dico: non ne so niente, non so, non lo conosco, in quanto l’aldilà è il roveto ardente, è la tenebra e la luce che sono una sola cosa. Quando dico questo io trovo il fulcro per il discorso cristiano della resurrezione. Essa non è dunque un puro completamento di una immortalità dovuta ontologicamente alla natura spirituale dell’uomo: l’uomo è spirituale, la morte non distrugge l’anima, l’anima va nell’aldilà ed alla resurrezione finale riprende il corpo. Così si pensava nel Medioevo. La vita eterna è essa stessa un atto di creazione. Come quando le cose non erano, il fiat di Dio le fece sorgere dal grembo del nulla, così quando noi non saremo, dal grembo del nulla Dio farà sorgere la vita. La resurrezione è un atto creativo che si proietta nell’ al di qua, attraverso una anticipazione che noi chiamiamo profezia. Vivere profeticamente la fede non vuol dire abolire le leggi dell’ al di qua. Ad esempio le leggi che regolano i matrimoni sono leggi giuste, le leggi che a livello psicologico e fisiologico regolano l’amore e la procreazione, sono leggi che hanno il loro spazio ed il loro tempo e non vanno manomesse con funeste immaginazioni dell’aldilà. Però, dentro la trama della nostra esistenza, nel tempo e nella carne, c’è una anticipazione – questo è il mistero di fondo – di ciò che avverrà. Ciò che avverrà non è così estraneo, eterogeneo alle profonde attese della nostra natura da non poter combaciare con qualcosa che è dentro di noi, perché il Dio della creazione è lo stesso Dio della resurrezione. Le cose create sono già mosse verso l’evento ultimo anche se noi non possiamo stabilire finalismi continuativi, perché le decisioni di Dio creano fratture. Solo in Lui l’unità si ricompone. Ma quando io penso che dinanzi a Dio niente muore, io penso non ai buoni cristiani che sanno chi è Dio, ma a tutte le creature che sorgono dal nulla, a tutti gli esseri viventi che hanno in sé coscienza, amore, speranza. Essi, come un pulviscolo nel raggio di luce, si muovono dentro la Promessa. Non dobbiamo creare divisioni. Tutte le creature sono figlie della resurrezione. Coloro che hanno avuto la parola della speranza, hanno il compito di proclamarla, di diffonderla ma senza l’aggressività di chi porta una verità perché la nostra non è una verità dicibile, non è trasmissibile, è da professare. La sua validità si deve sperimentare nella concreta maniera di affrontare la vita che viviamo. Come, a loro modo, i Maccabei mostrarono la loro fede affrontando l’usurpatore ed offrendo la propria vita per l’amore del loro popolo, così quanti uomini hanno fatto altrettanto! Ricordiamo quello che Romero disse poco prima della sua uccisione: «lo risorgerò con il mio popolo salvadoregno che risorgerà». E un modo inusitato di applicare il dogma della resurrezione! Esso è un dogma che dovrebbe far crollare tutti gli usurpatori ed invece essi stanno bene, celebrando le pasque! Vuol dire che la nostra fede è corrotta, che a noi non interessa niente della resurrezione. Se mentre vi parlo io penso ai milioni di uomini che muoiono di fame, sento vergogna di parlare della resurrezione se non dico che dobbiamo impedire che questo avvenga perché dovunque la vita fa appello a me, ivi c’è la resurrezione, altrimenti il dogma è una alienazione che mi sposta oltre la sfera delle mie responsabilità. Allora il discorso si fa grave. Nessuno la possiede, questa verità. Essa va dimostrata con le scelte che facciamo in questo mondo. Se un bambino muore di fame, la resurrezione è falsa, non al livello concettuale ma è falsa al livello effettivo, non credibile. Ditemi voi: questo è un mondo di resurrezione? È un mondo di morte! Noi siamo dei vociferatori di resurrezione ma dovremmo farlo con la cenere sul capo e dovremmo farlo appassionatamente in difesa di tutte le attese della vita che fremono nel mondo e che abortiscono subito. Essere figli della resurrezione non è dunque avere un fiocco di gloria da ostentare andando in giro, è avere una dimensione di responsabilità inusitata che non ci deve dar pace. Non sono figli della resurrezione coloro che compiono opere di morte – che sono tantissime! – e lo fanno con il nostro plauso, con il nostro voto elettorale! Se io osservo il mondo nella trasparenza di questa verità, non posso non derivarne conseguenze di impegno, di scelte. Allora il silenzio sul mistero che ci attende si capovolge, per così dire, in una loquacità sulle cose che vedo. Di queste voglio parlare. Del resto non parlo. O ne parlo, ma quando si determina la sintonia necessaria, quando, nel giusto atteggiamento critico e di penitenza, emergiamo dal provvisorio e ci interroghiamo sull’eterno, e con pudore ci diciamo la nostra certezza per tornare a immergerci nel quotidiano che è il vero spazio in cui si gioca il senso del futuro.

 

Ernesto Balducci-da: “Gli ultimi tempi” – Vol. 3

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