8 Settembre 2019 – XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

8 Settembre 2019 – XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

8 Settembre 2019 – XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

 

E bastato l'arco di questi venti-trenta anni per convincere tutti che le certezze di ieri erano malfondate. Le sicurezze ideologiche più infrangibili si sono rivelate friabili. L'esperienza della storia ci ammaestra che la posizione più giusta di fronte alla verità, è un serio scetticismo.

 

PRIMA LETTURA: Sap 9,13-18b­- SALMO: 89- SECONDA LETTURA: Fm 9b-10.12-17- VANGELO: Lc 14,25-33

 

…Noi pensiamo, più o meno coscientemente, secondo un sistema di forze latenti che sono quelle della nostra famiglia, del gruppo cui apparteniamo. La tendenza a trasferire al livello dell'intelligenza e dei giudizi morali gli interessi latenti o coscienti del gruppo, è ormai messa crudamente in luce. Il pensiero dell'uomo non si muove in una sfera vuota, in un cielo puro, è legato con vincoli carnali alla condizione terrestre, per cui la verità con la V maiuscola non è obiettivo possibile per l'uomo. E bastato l'arco di questi venti-trenta anni per convincere tutti che le certezze di ieri erano malfondate. Le sicurezze ideologiche più infrangibili si sono rivelate friabili. L'esperienza della storia ci ammaestra che la posizione più giusta di fronte alla verità, è un serio scetticismo. Non c'è la Verità. Quando io dico, come credente, che Dio è verità, dico un' altra cosa: Egli non è una verità oggetto della mente, è una verità verso cui si cammina nei sentieri dell'amore, che si conosce nello scambio vitale e non nell' oggettivazione del pensiero. Capire che il nostro pensiero è schiavo di condizioni di cui non percepiamo la vastità e l'articolazione, ci dà una seria attenzione nei riguardi di coloro che non pensano come noi. Il vincolo che ci lega alle più care condizioni della vita, alla famiglia, ai figli, alla moglie, al marito, al contesto del parentame e più largamente al di là di questo confine biologico, alla classe e al ceto a cui apparteniamo (e che sono necessarie alla vita e sono anche fonte di ricchezza e sapienza) diventa spesso come una prigionia che ci impedisce di ragionare con indipendenza di spirito. Gesù dice una parola che è scandalosa, e nel suo suono immediato, anche inaccettabile: Chi non odia suo padre, sua madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Odiare qui vuol dire spezzare gli affetti che ci fanno schiavi, in nome di un più vasto orizzonte dell' anima, di una più vasta preoccupazione della coscienza. Gesù, nel linguaggio paradossale tipico del vocabolario dell'oriente, parla di odio. L'analisi del conoscere, che è uno dei capitoli più interessanti della cultura di oggi, mostra quanti legami ci siano tra il pensiero e la classe sociale cui si appartiene, che è legata ad interessi organizzativi. Dov'è la verità riguardo alla giustizia? Chi ci può dire che cosa sia la giustizia nei conflitti che caratterizzano la società? Prima di rispondere dobbiamo domandarci: di quale classe io sono schiavo? a quale gruppo sono asservito? Non nelle mie coscienti deliberazioni, nelle mie scelte esplicite, ma nei vincoli sotterranei che mi legano alla dinamica economica. Senza questo sospetto noi rimaniamo schiavi. L'obbligo che Gesù ci fa è più radicale. Gesù indica come orizzonte ideale dell'esistenza non certo quello in cui uno entra quando si libera della moglie e dei figli, ma quello in cui entra quando supera il legame degli interessi e degli affetti più profondi. Gli affetti sono la grande ricchezza e la terribile prigionia della vita. L'ambivalenza della struttura dell'esistenza è chiara sul piano degli affetti. L'invito che Gesù fa è quello di superare questo orizzonte e la sua proposta fondamentale è la sua croce. Abbiamo avuto modo di dire che quando Gesù invita a prendere la sua croce, non invita a prendere su di sé le mortificazioni, a compiere ascetiche punitive che sono spesso espressioni di morbosità della psiche. Indica una scelta di vita. Sappiamo cosa fu per Gesù la croce: una scelta che lo condusse a portare lo strumento del patibolo in mezzo ad ali di gente che lo derideva, cioè a porsi contro il potere e contro l'opinione pubblica che diceva: «crucifige». La scelta della croce è una scelta di vita, è l'abbracciare un progetto che non è il progetto della grandezza della famiglia, della vittoria della mia parte politica … è un progetto universale il cui segno è l'amore per l'umanità, la liberazione dell'umanità da tutte le schiavitù in cui essa langue. Se la sapienza di cui parlavo all'inizio ci soccorre, noi sappiamo che queste schiavitù non sono solo quelle che si possono misurare all'interno  del sistema produttivo. Ci sono schiavitù più profonde, che accompagnano l'uomo in tutta la sua lunga storia e appaiono in sé insuperabili. Pensiamo alla solitudine, alla malattia, alla morte … a queste cadenze negative che ci circondano e spezzano in maniera brutale il tessuto della nostra vita. Tutto questo non rientra in un progetto politico, ma rientra in un progetto globale dell’esistenza. Gesù dinanzi alla morte fremeva come per ribellione. Egli non ha fatto il predicatore della morte come liberazione dalla vita. Tutt’altro! Ne ha sentito la negatività e l'ha presa su di sé entrandovi col suo amore e perciò vincendola. Queste schiavitù sono dinanzi a noi. Se dovessi dire, ad una coscienza che mi interroga, che significa essere cristiani, io risponderei: prendere la croce e cioè sfidare le sapienze costituite che sono mortali, la cultura dominante che è una struttura ideologica di consenso al potere costituito, gli interessi che attraverso la lubrificazione degli affetti mi stringono in modo troppo vincolante alla famiglia cui appartengo . Scegliere vuol dire rompere tutti questi legami…

 

Ernesto Balducci – da: “Il Vangelo della pace” – vol. 3.

 

 

 

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