Bob Dylan, le risposte sono ancora nel vento – Giovanna Checchi

Bob Dylan, le risposte sono ancora nel vento – Giovanna Checchi

Bob Dylan, le risposte sono ancora nel vento – Giovanna Checchi

In tempi come questi di guerra, di tensioni sociali e di scarsa accoglienza nei confronti dei migranti forse guardarsi indietro e rispolverare qualche modello pacifista del passato non sarebbe male.

A parte le numerose figure politiche e religiose che hanno costellato il Novecento e che qui non possiamo elencare, ci piace ricordare il messaggio trasmesso attraverso un mezzo che arriva a tutti, da sempre: la canzone. E se il nostro primo pensiero potrebbe volare verso i Beatles, specialmente verso il carismatico John Lennon e la sua “Imagine” uscita nel 1971, ci piace invece ricordare il peso e lo spessore di Bob Dylan, non per niente premiato con il Nobel per la Letteratura nel 2016.

Quest’anno ricorre il sessantesimo anniversario della sua canzone “Blowin’in the wind” (1963),  scritta e cantata negli anni in cui gli Stati Uniti erano coinvolti nella guerra contro il Vietnam. Una canzone apparentemente innocua, cantata da un semplice menestrello (Dylan è stato infatti definito “il menestrello di Duluth”) che però ha avuto il potere di entrare nella testa e nel cuore di più generazioni di ragazzi e ragazze, di uomini e donne di tutto il mondo.

Ma perché? Cosa trasmettono i versi di questa canzone? Quale incantesimo hanno sprigionato le parole del cantautore statunitense? Il messaggio è che le risposte alle domande più inquietanti volano nel vento e si disperdono senza lasciare traccia. Non c’è risposta certa, sicura, granitica a nessuna delle domande esistenziali. Particolare rilievo hanno i versi finali, dell’ultima strofa: “Quante orecchie deve avere un uomo per ascoltare la gente piangere? E quanti morti ci dovranno essere affinché lui sappia che troppa gente è morta? La risposta, amico mio, se ne va nel vento, la risposta se ne va nel tempo”.

Tempo ne è passato tanto, perché sessanta anni sono più di mezzo secolo, e di pianti se ne sono levati tanti, troppi, come tanti, troppi, sono stati i morti a tutte le latitudini. Nei sei decenni che sono trascorsi abbiamo assistito a rivoluzioni tecnologiche (la conquista dello spazio, l’avvento dell’era del computer, l’invenzione del cellulare, e oggi ci stiamo chiedendo a cosa porterà l’intelligenza artificiale) come pure a guerre tra nazioni, al terrorismo nazionale e internazionale, a un crescendo inusitato di violenza verso le donne e i bambini come riportato da recenti fatti di cronaca. E ancora non abbiamo risposte, ancora la risposta vola lontana, portata via dal vento. Così ci indica Dylan. Non siamo qui a indagare la fede del cantautore, la sua vicinanza ai precetti ebraici appresi in famiglia o la sua libera ricerca spirituale. Certamente per noi ancora oggi la suggestione del vento che porta via le risposte giuste, le risposte che vorremmo sapere subito, è potente e quanto mai attuale. I capolavori hanno d’altra parte la capacità di diventare dei classici, senza perdere smalto, perché il loro messaggio universale resta inalterato attraverso il tempo e lo spazio ed ha la caratteristica di essere comprensibile a tutti gli esseri umani che hanno la ventura di ascoltarli, leggerli, vederli, ammirarli.

 

“Blowin’ in the wind” di Bob Dylan (traduzione)

Quante strade deve percorrere un uomo
prima che lo si possa chiamare uomo?
Sì, e quanti mari deve navigare una bianca colomba
prima che possa riposare nella sabbia?
Sì, e quante volte le palle di cannone dovranno volare
prima che siano per sempre bandite?
La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento.
La risposta sta soffiando nel vento.
Per quanti anni può esistere una montagna
prima che sia lavata dal mare?
Sì, e quanti anni possono vivere alcune persone
prima che sia permesso loro di essere libere?
Sì, e quante volte un uomo può girare la testa
fingendo di non vedere?
La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento.
La risposta sta soffiando nel vento.
Quante volte un uomo deve guardare verso l’alto
prima che possa vedere il cielo?
Sì, e quante orecchie deve avere un uomo
perché possa sentire la gente piangere?
Sì, e quante morti ci vorranno perché egli sappia
che troppe persone sono morte?
La risposta, amico mio, sta soffiando nel vento.
La risposta sta soffiando nel vento.

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