Il passo in avanti verso gli sciiti, l’apertura a tutti i musulmani: così Francesco fortifica il dialogo – di Andrea Riccardi su Corriere della Sera

Il passo in avanti verso gli sciiti, l’apertura a tutti i musulmani: così Francesco fortifica il dialogo – di Andrea Riccardi su Corriere della Sera

Il passo in avanti verso gli sciiti, l’apertura a tutti i musulmani: così
Francesco fortifica il dialogo
di Andrea Riccardi
in “Corriere della Sera” del 5 marzo 2021

Il viaggio di papa Francesco in Iraq evidenzia la nuova realtà dei rapporti tra cattolici e musulmani,
nonostante le perduranti espressioni di violenza. Le relazioni non sono mai state facili, anche dopo
l’apertura al dialogo del Vaticano II. Anche perché, dagli anni Sessanta, il mondo musulmano
assume maggiore protagonismo. E poi, dal 1979, con il ritorno di Khomeini in Iran, si afferma una
«teologia della liberazione» islamica, diffusa in varie versioni, saldatasi all’insorgenza radicale tra i
sunniti. L’islam tradizionale è scosso in molti Paesi dai religiosi integralisti formatisi in Arabia
Saudita alla scuola wahabita.
Giovanni Paolo II, convinto che il rapporto con l’islam fosse decisivo, lavorò sull’incontro con i
leader musulmani. Lanciò, ad Assisi nel 1986, un’originale incontro di preghiera interreligiosa, in
cui i musulmani erano una delle religioni presenti. L’11 febbraio 2001, però, sembrò confermare
che la realtà dei rapporti tra cristianesimo/Occidente e islam fosse più lo scontro di civiltà, previsto
da Huntington, che il dialogo. Ma Wojtyla non lo accettava: promosse nel 2002 un altro incontro
nello spirito di Assisi e osteggiò la guerra occidentale all’Iraq. Nel mondo cattolico, la sua linea non
faceva l’unanimità, mentre s’insisteva sull’irriformabile carattere bellicoso dell’islam. E la
diffusione del radicalismo islamico sembrava confermarlo.
Nel 2006, il discorso a Ratisbona di Benedetto XVI (che citava un severo giudizio bizantino su
Muhammad) scatenò una dura reazione musulmana, anche con violenze, tra cui l’uccisione di due
preti in Iraq. Il clima era di contrapposizione, confermando la tesi sull’incompatibilità, nonostante i
tentativi di papa Ratzinger per la pacificazione. Così gli esordi di Francesco non furono facili. La
più grande istituzione musulmana sunnita, l’Università di Al Azhar, guidata dal grande imam Al
Tayyb (che cercava di portarla su posizioni indipendenti dallo Stato e meno nazionali), dichiarò la
muqata’a, cioè l’embargo dei rapporti con la Chiesa.
La preghiera, convocata da Francesco nel 2013, per evitare l’escalation della guerra in Siria, fu un
segnale. Ma le relazioni erano tese, tanto che la visita di Al Tayyb a Roma (molto auspicata e con
varie intermediazioni) arrivò solo nel 2016, ricambiata — un anno dopo — dal Papa al Cairo. Qui il
leader islamico lo chiamò «fratello» e organizzò attorno a lui un incontro di esponenti religiosi,
anche ebrei, in cui si discusse sul nesso religione-violenza. La modalità dell’incontro interreligioso
penetrava pure nell’islam, mentre Al Tayyb andava assumendo un ruolo di riferimento più
universale nel mondo musulmano.
Egli ha saputo interpretare, nell’ortodossia islamica e con una sensibilità legata alla tradizione sufi,
il sentimento di buona parte dei musulmani, a disagio per l’identificazione con il terrorismo e
Daesh. Dai rapporti tra Vaticano e Al Azhar nasce il documento su «La Fratellanza umana per la
pace mondiale e la convivenza comune», che afferma la condanna della violenza in nome della
religione, ma anche la libertà religiosa, il dialogo, la piena cittadinanza delle minoranze. Così si
offre una piattaforma ai musulmani per distanziarsi dal radicalismo e stabilire un rapporto positivo
con il mondo. Non si tratta di dialogo teologico, ma di collaborazione su temi, poi rilanciati dal
Papa nell’enciclica «Fratelli tutti», citando pure il grande imam. In pochi anni, i rapporti tra
Vaticano e sunniti sono capovolti e offrono una sponda ai musulmani, desiderosi di sottrarsi
dall’ombra del jihad terrorista che, d’altra parte, continua ad essere un’alternativa in crescita in vari
Paesi, tra cui quelli africani.
Francesco, durante il viaggio in Iraq, compie un primo passo verso gli sciiti, visitando la loro
maggiore città santa, Najaf, in particolare il grande ayatollah Al Sistani, massima autorità sciita.Qui, non come tra i sunniti, esiste una gerarchia rappresentativa e si pratica — a differenza degli
sciiti iraniani — una qualche separazione tra religione e politica. Una scritta, rivolta al Papa,
campeggia a Najaf: «Voi siete parte di noi, noi parte di voi». L’iniziativa della visita ha toccato gli
sciiti, maggioritari in Iraq. Quelli iraniani seguono interessati. Così si completa il contatto di papa
Francesco con le diverse tradizioni musulmane. Tanti problemi restano aperti ma, nel giro di
qualche anno, è avvenuto un cambiamento decisivo nei rapporti con l’islam, un mondo dai tanti
volti.

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