PASQUA 2015

PASQUA 2015

PASQUA 2015

 

…Tutto è nostro. Noi dobbiamo uscire dalla logica della necessità e riaffermare questo principio costitutivo del mondo. Questa fede nella resurrezione è anche fede che la creazione è avvenuta per amore, che cioè agli inizi c'è un amore che ha posto le cose e non c'è un fato, un destino. Questa fede allora ci libera dalla pietra del sepolcro. La pietra immensa rotola via e noi vediamo, come gli uomini della caverna platonica, non più nel fondo della caverna le immagini che si riflettono dal di fuori ma direttamente, abbiamo sotto gli occhi il sole, le cose. Abbiamo voltato la faccia dal profondo della caverna che è la caverna della necessità del vivere. La resurrezione è questo. Lo so che ho fatto solo delle variazioni, niente di più, ma avevo la necessità interiore di dire che le vicende storiche che viviamo, e che spesso ci portano a chinar la testa delusi, ci portano a ritrovar la nostra sicurezza. Sappiamo che tutto è compiuto ma tutto deve cominciare e quindi ci reinseriamo nella comunità degli uomini senza aggressività ma portando alta la nostra speranza. Dovrà cambiare l'uomo, dovrà – come dice il profeta – il cuore dell'uomo diventare, da cuore di pietra, un cuore di carne. È una speranza che noi alimentiamo soprattutto dall'evento che celebriamo perché esso dice che le cose mutano. Il senso intimo, antropologico della Pasqua è l'affermazione che le cose mutano. Non è vero che c'è una necessità che governa tutto, la novità è la legge. Non mi importa che mi dicano: «Guarda che gli uomini da quando sono uomini si sono sempre ammazzati». Io dico che verrà tempo in cui gli uomini non si ammazzeranno. La mia affermazione non ha documenti se non questo: la novità è possibile, anzi ha una sua diversa, specifica necessità che viene avvertita dalla coscienza che è consustanziale alla libertà. La coscienza omogeneizzata alla razionalità corrente non ci crede, sorride di un sorriso scettico che è una ferita che spesso ci colpisce, ha dalla parte sua tutte le cose. Lo scettico può citare tutto quello che vuole del passato e tuttavia la sua saggezza è stolta perché non riesce a capire che mentre parla un filo d'erba gli cresce accanto alle scarpe e in quel filo d'erba c'è più che in tutto il suo sorriso freddo come un laser. La novità è il nostro orizzonte e noi poggiamo questa nostra interna necessità morale sull'evento della resurrezione. Gridiamo quindi alleluja, la morte e la vita – lo abbiamo sentito ora – si sono confrontate in un terribile duello e finalmente la vita ha vinto la morte. Mentre lo dico ho sempre paura che la parola mi sia rapita dalla comprensione ritualistica e allora essa perde senso. La parola acquista senso per chi la traduce in un impegno, in una decisione: questo sarà se noi lo vorremo. Chi l'ha presa sul serio, voi lo sapete, come i primi testimoni, ha versato il sangue. Non è quindi una parola di consolazione con cui ci consoliamo con un superattico paradisiaco, perché chi fa così svuota di senso il messaggio, ne fa alimento alla sua concupiscenza. Questo annuncio è una consegna morale: così sarà se vorrete. Ecco come noi dobbiamo, in una situazione storicamente e culturalmente così nuova, riprendere, decifrare e ricodificare secondo il nostro linguaggio l'antico messaggio della Pasqua.

 

Ernesto Balducci – da: “Gli ultimi tempi”

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